Confessioni di una macchina per scrivere. La pubblicità tra visione di marca e visione del mondo.
Confessioni di una macchina per scrivere. La pubblicità tra visione di marca e visione del mondo.
Pasquale Barbella
2008, Liguori

Un ex pubblicitario che si autodefinisce “scrivente macchina umana”, scrive della propria esperienza professionale non solo per rivelarne alcuni meccanismi invisibili all´esterno, ma anche per stimolare una riflessione sulla comunicazione di massa, la sua evoluzione negli ultimi decenni, le sue formule, il suo slang, la sua degenerazione pubblicitaria.

 

Ripercorre, non senza autoironia, qualche tappa della propria biografia per rintracciare le influenze esercitate, nella società italiana e nel corso del tempo, dalle principali fonti di comunicazione: la stampa, la radio, la televisione, ma anche il mondo aziendale, la burocrazia, le istituzioni pubbliche. Uno sguardo disincantato sull´uso e l´abuso dei linguaggi – parole, immagini, eventi, mode – che contribuiscono a formare o a modificare la percezione pubblica del reale.

 

Da un osservatorio atipico – i laboratori della comunicazione commerciale – l´autore spia fatti e comportamenti che riguardano solo in parte il proprio mestiere, ma che proprio nelle pratiche pubblicitarie trovano un fondamento e una spiegazione. Un tempo definita persuasione occulta, la pubblicità si libera di qualche velo spogliando però, allo stesso tempo, il mondo che la ospita e che non può fare a meno di lei: quello dei mass media.

 

L´autore si interroga poi sulle differenze, talvolta rilevanti, tra ciò che appare e il suo significato; indaga sulla comunicazione in generale e sui suoi effetti, tentando di stabilire un rapporto di corrispondenza tra il disimpegno estetico e la deriva dei valori: “Da antico lettore di Crimen, tendo a immaginare che un sistema di comunicazione fondato sulla sciatteria produca conseguenze funeste. […] penso in un lampo alla grafica scellerata che deturpa gran parte del layout urbano: le insegne impudenti, i logotipi pretenziosi, le squallide vetrine, tutto quell´effetto-pizzeria esploso non solo nelle periferie, ma anche al pianoterra di palazzi un tempo decorosi, quando non addirittura austeri. Immagino questo bar come scenario ideale di delitti improvvisi e banali: a suggellare una lite notturna, il raptus di un balordo, lo sfogo di una depressione oscura e vendicativa. Non grandi regolamenti di conti, notti di San Valentino, spietati progetti di mafia, ma il semplice fluire della corrente, e il sasso che senza volerlo scivola dall´argine e confonde, increspandola, l´incoscienza dell´acqua.”

 

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