Brandnaming e “scherzi linguistici”
Brand Naming
Brandnaming e “scherzi linguistici”
22/12/2011

Fabio Pasquetto, Redazione di Brandforum.it
L’aspetto della percezione linguistica del nome è non di rado sottovalutato dai team di marketing con effetti a volte “divertenti” per il pubblico ma molto meno per le aziende che in qualche caso si trovano costrette a correre ai ripari. Casi nazionali e internazionali lo dimostrano, Ikea compresa.

1. Premessa

L’aspetto della percezione linguistica del nome è non di rado sottovalutato dai team di marketing con effetti a volte “divertenti” per il pubblico ma molto meno per le aziende che in qualche caso si trovano costrette a correre ai ripari spesso modificando radicalmente la marca, con effetti di non poco conto sulle strategie e i costi di comunicazione.

 

Il nome del brand deve possibilmente rispondere ad alcune caratteristiche generali quali ad es. una certa gradevolezza, una pronuncia agevole, un rimando concettuale adeguato alle caratteristiche del prodotto e coerente con il suo posizionamento ed una non meno importante “vocazione globale” ovvero una declinabilità qualora destinato ai mercati internazionali, importante corollario delle caratteristiche richiamate è che il nome possa essere pronunciato senza creare eccessivi ostacoli alla pronuncia o a volte imbarazzo nell’utente (motivi entrambi che costituirebbero un deterrente tali da influenzarne la decisione di acquisto).

 

Quanto al caso della pronunciabilità, l’uso di simboli non globalmente riconosciuti ha dato luogo a problemi ad esempio nel caso di “TOYSЯUS” (letteralmente “toys are us” ) da molti pronunciato TOYRUS…et. sim.  non comprendendo il significato di quella R (pronuncia come “are” = siamo). Un problema che si può ottenere anche con l'uso di sigle e acronimi: a questo proposito, viene in mente il caso della Toyota MR2 che malauguratamente in Francia aveva la stessa pronuncia di “est merdeux” (traduzione ingentilita “fa schifo”) , destino totalmente opposto in Italia invece per l’acronimo “LEGO” ( da Leg godt = gioca bene) che “legava” molto bene con il concetto originario di mattoncini da costruzione. 

 

Cercheremo di approfondire ulteriormente questi aspetti con alcuni casi emblematici, per chiudere con l'esempio tratto dall'esperienza IKEA.

 

2. Alcuni casi nazionali e internazionali

Fra i primi casi degni di nota spicca il nome di FIAT  “CINQUECENTO” (scritto in caratteri alfabetici e non numerici) incontrò non pochi problemi di pronunciabilità all’estero (attualmente si usa infatti il carattere numerico 500). Quindi spesso parole che per noi sembrano facilmente pronunciabili non lo sono affatto per i consumatori di altri paesi (provate ad es. a far pronunciare “Civitavecchia” ad un inglese….costituisce un vero e proprio scioglilingua).

 

Ma la casistica si sa è varia e riserva spesso delle sorprese: ad es. gli inventori di “Häagen Dasz” hanno pensato ad un nome del tutto inventato ma che “suonava” europeo ed in particolare scandinavo (per la forse preconcetta percezione per l’americano medio che il miglior gelato sia di provenienza nord europea e/o scandinavo); eppure nonostante questo grosso limite (persino quasi sotto il profilo di una brand promise non esattamente “fair”) non si può negare che il brand abbia riscontrato un enorme successo (non dimentichiamo però che anche il prodotto fa la sua parte….).

 

Inoltre la regola che vuole il nome “non risibile” va considerato in relazione al target e al posizionamento del prodotto, ad es. nel caso di Alessi i prodotti "Merdolino” (scopettino wc) e “firebird” (accendigas a forma fallica trad. letterale “uccello di fuoco”) sono destinati ad una fascia alta di pubblico con cultura media elevata e pronta a cogliere l’ironia nell’uso dei nomi in questione (e della forma degli oggetti…).

 

Senza naturalmente avere la presunzione di elencarli tutti, vediamo insieme alcuni dei casi più rilevanti non solamente per i nomi di marca ma anche in alcuni casi di comunicazione “poco consona”.

GERBER La nota casa di prodotti alimentari per bebè “”, malauguratamente in Francia significa “traboccare” ma anche “vomitare”. (Questa azienda annovera anche un’altra gaffe avendo presentato sulle confezioni destinati ai bambini affamati dell’Africa l’immagine di bambini bianchi sull’etichetta, quando l’usanza locale vuole che l’immagine riportata sull’etichetta si riferisca al contenuto poiché molte persone sono analfabete…..).
Coca Cola ha acquisito nel 2006 il gruppo italiano di acque minerali “Traficante” che in Spagna (ma anche in Italia) ha il significato di commerciante di stupefacenti…
− In tema di autovetture abbiamo i casi di VW JETTA (che in Italia non era molto apprezzato per l’assonanza con “jella, jettatore ecc.”), BORA (che oltre al vento che soffia a Trieste in slang romanesco si associa a “cafone, burino da cui appunto “boro”). Migliore sorte non tocca in Italia alla Ford “ESCORT”, dopo che questo nome è stato alla ribalta per più di un decennio in Italia e non di certo per il settore auto. La Fiat RITMO nei paesi anglosassoni dovette cambiare il nome in “Strada” , “rythme” in inglese indica infatti il ciclo mestruale. E infine: il nuovo modello di Chevrolet in Sudamerica, denominato CHEVY NOVA cambiò in CARIBE (“NOVA” in spagnolo suona come “no va” = non funziona).
−  Anche il “superbrand” Apple è incappato in tale inconveniente all’inizio con l’oramai famosissimo “iPad”. Il nome  “pad” ha vari significati in inglese tra cui tampone, assorbente oltre a tavoletta, ma come era prevedibile qui ha prevalso la vis attractiva del brand madre, il magico posizionamento o “magic intersection” (tra technology e liberal art, definizione del compianto Jobs) ed il prodotto ha riscosso un enorme planetario successo nonostante ciò (…ubi major…..).

 


3. Il caso Ikea

IKEA rappresenta l’emblema globalmente riconosciuto per l’universo della casa,  che va ben oltre il singolo oggetto di arredamento. Ma ancor prima di questo, a livello di percezione profonda e oramai radicata, i suoi flagship store rappresentano l’impianto di un modello dal dna tutto svedese di razionalità, praticità, design, coerente con un’impostazione tipicamente “social-democratica” che vuole che il diritto di poter usufruire e godere degli oggetti di design sia il più ampio pubblico possibile, in altre parole il brand rappresenta una cellula di colonizzazione svedese (non a caso i colori corporate – blu e giallo – coincidono con quelli della bandiera svedese, che della Svezia ne fa un punto di forza in comunicazione tanto da divenire un “endorsement”)   che con il tempo ha saputo sapientemente diversificarsi e strutturarsi in modo da poter intercettare il gusto di varie fasce di consumatori curando non solamente la qualità dei prodotti ma anche la comunicazione.

 

L’altra lato della medaglia di questo modello ben confezionato di “Svezia” è rappresentato dai nomi dei prodotti che in omaggio alla stretta coerenza di impostazione iniziale sono naturalmente in lingua svedese. Per chi non lo sapesse, la lingua svedese presenta un esubero di consonanti che spesso nella pronuncia cadono per elisione o si trasformano in dolci vocali, rendendo la fonetica della lingua molto più piacevole di quanto a prima vista non sembri.

Ma poiché questo in pochi lo sanno oltre i confini scandinavi, gli effetti sull’utente possono essere vari,  proviamo ad immaginare quindi delle situazioni tipo.

 

Si sa che la scelta dell’arredamento della casa – soprattutto per gli italiani – rappresenta un punto molto critico e delicato ed infatti Ikea ha pensato a questo, inserendo nei propri “circuiti” (percorsi organizzati negli spazi espositivi) delle “soluzioni-tipo” con l’intento proprio di facilitarne la scelta e l’ispirazione anche con l’ausilio di personale gentilissimo e preparatissimo che segue il cliente in pieno swedish aplomb.

Questo encomiabile intento di facilitare la scelta è tuttavia messo a dura prova dai nomi dei prodotti che sembrano voler sfidare ogni ragionevole principio di brandnaming.

Scene del tipo: “cliente”: mi scusi stavo pensando all’arredamento del tinello ed avrei pensato ad uno  ‘STORNAS’ ma forse è troppo grande..; "commessa “…provi con un praticissimo BJÖRKKUDDEN (tavolino in betulla) nel qual caso le consiglierei anche un bellissimo STRÄNGNÄS (candeliere) magari con vari YNGSJÖ (portacandelina colorato) per impreziosire… o un utilissimo FÖRHÖJA (pensile minimalista)..

 

Ikea negli anni ha curato molto anche l’offerta degli accessori, specie in cucina, il regno di molte donne e non solo, italiane e non…ed allora cosa dire della formidabile padella, di  ispirazione quasi wagneriana:  “KAVALKAD”.

 

Curare i propri momenti relax in compagnia dei migliori amici è un punto di forza della società attuale ed allora, concedersi un te conversando seduti comodamente in soggiorno alla calda luce rassicurante di una lampada di design può improvvisamente suonare preoccupante se il te viene servito con una teiera VÄRME (pron. verme) se le poltrone dove prendiamo posto – magari indossando il vestito nuovo di pacca – si chiamano SKRUVSTA e la rassicurante lampada si chiama BOJA!!!

 

Ikea è nota per dedicare ampio spazio ed attenzione alla cura dei nostri pargoli a cominciare dal famosissimo SMÅLAND (regione della Svezia meridionale che significa  “piccola terre” ma che è coerente con il concetto di “terra dei piccoli”) dove le famiglie possono “parcheggiare” i propri piccoli (specie quelli più irrequieti).

 

Di conseguenza anche i prodotti per i piccoli presentano soluzioni molto interessanti ed attuali…ma che dire di una giovane mamma spagnola intenta a dare la pappa al proprio pargolo servendosi di un set dal nome “MATA” ? (…forse il preludio ad una “dura lotta tra di contendenti” ? ) e, per tornare in Italia, di una premurosa mamma affidare il suo piccolo – appena bipede – ad un carrello primi passi dal nome “EKORRE”….(ce la farà a riprenderlo?)

 

Gli esempi sono tantissimi, a prescindere dalla difficoltà di pronuncia, alle evocazioni che possono suonare strambe:
− tende “INGAMA” : saranno adatte alla privacy o lasceranno “sgamare” qualcosa?
− Il paralume ALVINE PÄRLA : sarà forse magico, basterà solo che lo si strofini con forza?
− e cosa dire della scarpiera STALL il cui accostamento a STALLA è “olfattivamente” poco incoraggiante….?

 

Terminato questo “passaggio” all’IKEA  in maniera ovviamente scherzosa, ci si chiede seriamente se i principi del naming espressi in apertura siano quindi sempre validi e se invece IKEA  sia la prova del contrario. Glissando si può rispondere dicendo che IKEA rappresenta la classica eccezione che conferma la regola.

Volendo dare una spiegazione più analitica occorre osservare innanzitutto che IKEA comunica molto sul  nome corporate e sull’identità nazionale, presupposti  questi per poter efficacemente esportare o meglio replicare un modello, va da se che l’impiego dell’idioma svedese è in questo contesto perfettamente coerente e in un certo senso giustificato, certo il marketing dovrebbe magari porre attenzione almeno nei casi eclatanti….non possiamo credere che IKEA non possa permettersi un team di linguisti esperti (si parla del caso del carrello FARTFULL poi ritirato dalla vendita, il cui conio era un ibrido tra inglese e germanico dove FART era ripreso da Fahrt  = viaggio, andare con un mezzo, poi forse per esigenze visual la H era caduta…con effetto di “flatulenza” sull’intero prodotto (FART in inglese di riferisce proprio a questo fenomeno). Forse IKEA intende essere coerente fino in fondo (del resto abbiamo visto come gli americani abbiano chiamato una nota marca di gelato con un nome finto-scandinavo, perchè IKEA che è autenticamente scandinava dovrebbe rinunciare a questo?  e visto il successo non si può di certo darle torto, costi quel che costi.

A cura di

Fabio Pasquetto

E' stato titolare di IPGRADE S.r.l, società  specializzata in Intellectual Property, esperto di naming.

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