Perché facciamo parte di gruppi in Rete?
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Perché facciamo parte di gruppi in Rete?
10/03/2019

Alice Avallone, Guest di Brandforum
Perché frequentiamo alcune community: dovere? pigrizia? piacere? Cosa aggiunge ai rapporti interpersonali il digitale all’analogico, e viceversa?

Prendete un foglio bianco e disegnate due grandi cerchi che si intersecano: a destra appuntate tutti i gruppi di cui fate parte solo fuori dalla Rete; al contrario, a sinistra i gruppi della vostra sola vita connessa; in mezzo le sovrapposizioni tra offline e online. Non dimenticate nulla: ci sono i parenti, colleghi e amici, ma anche il gruppo di uncinetto su Facebook, la classe di yoga su Whatsapp, sconosciuti amanti del fitness sull’app di FitBit. Dopodiché, provate a fare alcune riflessioni. Perché frequentate queste community? Dovere, pigrizia o piacere? Cosa aggiunge ai rapporti interpersonali il digitale all’analogico, e viceversa?

 

Vi accorgerete ben presto di quanto sia profondamente sbagliato oggi fare ancora una distinzione tra mondo virtuale e reale: le piattaforme di conversazione digitali sono già il nostro quotidiano, in modo irrimediabile. E anche da parecchio tempo; basti pensare a Facebook, con i suoi oltre dieci anni in Italia sulle spalle. Dieci anni, sono un’eternità.

Per lo stesso motivo, è impreciso parlare di new media per riferirsi ai social, che di nuovo non hanno nulla. Il nostro stesso rappresentarci in Rete – con selfie, testi e condivisioni – parla di noi e di come vogliamo apparire agli occhi degli altri membri. Succede a teatro, succede su TikTok (social made in China -dove è meglio conosciuto come Douyin- che permette alle persone di creare brevi clip musicali via smartphone, per ulteriori approfondimenti cfr. https://medium.com/aliceavallone/un-giorno-da-etnografo-digitale-su-tiktok-lerede-cinese-di-musical-ly-c94e22ce3384).

Quello che cambia radicalmente è la dimensione del pubblico e la relazione che stringiamo con quest’ultimo.

 

Riprendendo in mano il secondo capitolo del mio libro People Watching in Rete. Ricercare, osservare e descrivere con l'etnografia digitale (Franco Cesati Editore, p.33), possiamo provare a dare una risposta alla domanda iniziale, dunque: perché facciamo parte di gruppi in Rete? La maggior parte delle teorie per la ricerca sociale classifica i gruppi principalmente in:

 

Gruppi primari: legami stretti, come quelli familiari
Gruppi secondari: relazioni meno intense, come tra colleghi

 

E quest’ultimi a loro volta sono classificati in:

 

Strumentali: con uno scopo condiviso, come la squadra di calcio
Espressivi: per soddisfare il bisogno di identificazione e di socialità

 

Partendo da questa seconda suddivisione, appaiono chiare tre grandi motivazioni che ci spingono ad accettare di far parte di una tribù:

 

1. Supporto funzionale reciproco.
Può essere un aiuto tecnico (mailing-list per strategie digitali, forum di condivisione e trucchi per i videogame, community di programmatori) o emotivo, come succede nei gruppi di mamme che si scambiano esperienze sul primo figlio, ma anche tra le libere professioniste o le nuore esasperate da suocere invadenti.

 

2. Condivisione di un background.
Sono i gruppi che nascono dall’avere in comune uno stesso percorso scolastico, una città, uno specifico valore culturale, una scelta sulla propria dieta alimentare, sessualità, religione, politica. Il terreno condiviso può essere anche generazionale: ci sono gruppi che abbracciano membri che in comune hanno semplicemente la stessa fascia di età.

 

3. Espressione di interessi monotematici.
In questo ultimo caso, entrano in gioco gli interessi, le passioni, le manie e le ossessioni: dai cuochi in erba (ma senza forno a casa!) del gruppo Facebook Il forno sul fornello agli entomologi amatoriali di Riconoscimento Insetti, fino alle “plannerine”, le patite di agende e cancelleria, e ai “kidult”, uomini che vivono senza problemi il loro lato più infantile (e tra le altre cose si ritrovano a fare gare di corsa con le macchine di Barbie).

 

Dietro alle motivazioni, ci sono le nostre emozioni, che ci permettono di confrontarci online: paura, rabbia, tristezza, gioia, sorpresa, disprezzo e disgusto. Sono emozioni umane innate e presenti in tutte le popolazioni, classificate dallo psicologo statunitense Paul Ekman dopo aver studiato una tribù isolata dal mondo in Papua Nuova Guinea. Emozioni che si manifestano in modo universale in tutto il mondo, che accorciano le distanze culturali e amplificano il ruolo del gruppo. Far parte di una comunità legittima l’espressione di ciò che proviamo, di ciò che pensiamo e di ciò che ci piace.

 

Provate a entrare in una qualsiasi community di gattofili: non apparirà così strano vedere come il più delle volte siano gli animali a interagire per interposta persona con gli altri membri. Ci sono video e foto accompagnati da testi come “Pallino vi saluta e vi fa le fusa… per sentirle bisogna attaccare l'orecchio, in questo caso il cell. al muso…” che portano poi gli altri membri a lasciare commenti diretti all’animale stesso: “Ma ciao amore caro!” o “Ciao nipotinoooo”.

 

È un comportamento che adotteremmo in tutti i contesti? Assolutamente no. Piuttosto, è un comportamento che è permesso da un gruppo che fa uso di sensibilità e codici implicitamente condivisi. In questo caso, è dunque possibile farsi un’idea di ciò che avviene nella quotidianità di chi vive con animali: proprietari che considerano cani e gatti i propri figli, che si rivolgono a loro come se fossero umani, che conoscono il loro linguaggio non-verbale e che a volte lo traducono in parole, come se li stessero doppiando.  Se davanti a estranei questi comportamenti vengono limitati per pudore, in un contesto dove sono presenti propri simili, vengono invece legittimati.

 

Senza giudizio.

 

 


Alice Avallone coordina il College di Digital Storytelling della Scuola Holden, scrive di viaggio su Lonely Planet Italia e combina scienze sociali e ricerca digitale per studiare le relazioni umane in Rete. Ha scritto tre guide con la rivista Nuok (Bur), il manuale Strategia Digitale (Apogeo), e ha curato Come diventare scrittore di viaggio (Lonely Planet). Da qualche mese è in libreria con People Watching in Rete. Ricercare, osservare e descrivere con l'etnografia digitale (Franco Cesati Editore).
 

A cura di

Alice Avallone

Coordina il College di Digital Storytelling della Scuola Holden. Da anni combina scienze sociali e ricerca digitale per comprendere le relazioni umane online: codici, comportamenti, linguaggi. In passato ha scritto tre guide di viaggio con la rivista Nuok (Bur), il manuale Strategia Digitale (Apogeo), e ha curato il libro Come diventare scrittore di viaggio (Lonely Planet). A fine ottobre esce in libreria il saggio People Watching in Rete. Ricercare, osservare e descrivere con l'etnografia digitale (Franco Cesati Editore).

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