Francesca Mastrovito, Network di Brandforum.it
Anche i brand del mondo del food stanno vivendo una profonda esperienza di reloading in chiave digitale, come nel caso di Pepino.
Premessa
Anche i brand del mondo del food stanno vivendo una profonda esperienza di reloading, arricchendo sempre più le loro strategie con esperienze online, esplorando i territori dei diversi social network (per quanto Facebook risulti sempre la piattaforma di lancio prediletta) e studiando nuovi strumenti interattivi per attirare l’attenzione del consumatore e coinvolgerlo fino ad arrivare ad una sua fidelizzazione.
Quello che però manca nel mondo della rete è un elemento imprescindibile per un prodotto alimentare che, ad esempio, può essere trasmesso in una esperienza multisensioriale offline: il gusto. È vero che anche l’occhio vuole la sua parte, ma descrivendo un piatto o un prodotto non ci verranno in mente solo dettagli inerenti al suo aspetto – che deve pur sempre essere gradevole ed invitante; magari avremo davanti la barretta di cioccolato più attraente del mondo, ma non la ricorderemo mai se non dovesse risultare accattivante anche per le papille gustative – .
La formazione di communities, il lancio di giochi interattivi e tutta la gamma delle esperienze online non sono che il primo passo verso un coinvolgimento molto più ampio del consumatore; per quanto massiva possa risultare una campagna condotta sul web, non è che una pulce nell’orecchio funzionale solo per spingere alla vera esperienza a 360° quale è l’assaggio del prodotto.
Ovviamente, a seconda dell’estensione territoriale e della fama dello stesso brand (e soprattutto delle risorse di cui dispone), otterremo strategie molto variegate tra loro: quelle più vicine alla realtà della community e quelle che mirano all’attenzione del singolo, quelle basate puramente su un discorso di entertainment o ancora altre volte al riconoscimento da parte del consumatore dei valori del brand. il quadro si arricchisce ulteriormente se prendiamo in considerazione anche il target di riferimento. Mettendo in gioco tutti questi elementi, analizzeremo il caso di un brand storico, con più di cento anni di vita alle spalle, che in questo momento sta vivendo una florida fase di espansione e di rinnovo: si tratta di Pepino, gelateria prima e brand poi con sede a Torino.
Il caso Pepino
Pepino nasce nel 1884 a Torino come piccola gelateria artigianale, dalla volontà di un emigrato campano.
La qualità dei prodotti è subito diventata un marchio di fabbrica, tanto da spingere la gelateria a essere insignita da ben quattro stemmi reali tra il 1910 ed il 1932 e a diventare “Fornitore di Real Casa”. Pur mantenendo fede al core artigianale del prodotto, Pepino espande la distribuzione centralizzando la produzione e sperimentando, cosa assai ardua per l’epoca, la tecnica del “ghiaccio secco” per il trasporto, di cui potrebbero essere quasi definiti i precursori (da qui il primissimo slogan: “i gelati Pepino arrivano ovunque”).
Nel 1939 Pepino si piazza definitivamente sul mercato brevettando un prodotto che ad oggi rimane uno dei più imitati: il Pinguino, il primo gelato ricoperto di cioccolato su stecco. l’intuizione si rivela vincente e al passo con i tempi, sempre più frenetici e ad alto ritmo.
Oggi Pepino si presenta come un’azienda giovane e fresca, guidata dalla quinta generazione della famiglia Cavagnino (al comando dal 1916), attenta alle tendenze del momento ma ben consapevole delle proprie radici. Lo stesso attaccamento al passato è al centro dei core values che Pepino trasmette, innanzitutto, attraverso l’estrema cura della qualità, come per tendere un filo continuo che parte dal 1884 per arrivare fino ai nostri giorni e protendersi al futuro.
I primi movimenti all’estero stanno prendendo piede proprio in questo periodo: Pepino ha lanciato alcuni dei propri prodotti negli store Panino Giusto di Londra, creandone uno esclusivamente per loro: il Giustino (piccolo cono gelato ricoperto di cioccolato da servire insieme al caffè).
L’eccellenza dei prodotti è, ancora oggi, l’elemento trainante della strategia di posizionamento: i gelati Pepino vengono distribuiti in sport club di elevato livello, come golf, yacht e polo club, e in realtà un po’ più di nicchia come Eat’s, a Milano.
La stessa eccellenza che contraddistingue gli chef che hanno accettato di rivisitare il prodotto più rappresentativo del brand: il Pinguino. È questo infatti il progetto che da diversi mesi tiene impegnati diversi cuochi e, soprattutto, attira l’attenzione del popolo online: attraverso la piattaforma Facebook e Twitter, infatti, Pepino lancia i gelati Pinguino sotto “mentite spoglie”, ma comunque ben riconoscibili nella loro integrità: agli chef viene chiesto infatti di inserire nell’immagine il prodotto intero, per quanto nella ricetta sia destrutturato, sciolto ecc…
Ovviamente, la pubblicizzazione online del Pinguino-reloaded non è fine a se stessa: tutte le reinterpretazioni sono disponibili nei ristoranti, chi per un breve periodo e chi no. Il gelato si spoglia della sua “praticità da passeggio” per ritornare in coppa o sul piatto, addirittura accompagnando ingredienti salati. È un’altra esperienza che si ricollega all’altissima qualità di cui il brand si fa portavoce.
La pagina Facebook “Gelateria Pepino” diventa quindi una vera e propria vetrina, non solo per le rivisitazioni del Pinguino, ma per tutti i prodotti e le iniziative del brand, in modo che tutti possano seguire Pepino in giro per l’Italia (e non solo). A questo si aggiunge un utilizzo originale di Facebook come “lancia menù”: in piazza Carignano a Torino, infatti, Pepino è presente non solo come gelateria ma anche come bistrot. Il menù, che varia quasi ogni giorno, viene lanciato sulla pagina Facebook così che possa invogliare chi è nei paraggi e non a scegliere il loro ristorante per la pausa pranzo.
Ma la vera intuizione che ha permesso di connettere maggiormente il brand ad internet è stata quella di selezionare, al fianco degli chef, anche personaggi che in questo momento cavalcano l’onda di una delle mode più in voga sul web: le foodblogger. Tra le amanti della cucina tradizionale italiana, quelle con un’inclinazione più etnica o addirittura qualche coraggiosa che sperimenta la cucina molecolare, queste ragazze/signore (quasi doveroso parlare al femminile, si tratta di uno di quei pochi casi in cui c’è bisogno di adottare le 'quote azzurre'!) condividono i loro esperimenti culinari e le loro ricette attraverso piattaforme come Blogger e WordPress, o addirittura veri e propri siti per le più esperte –e famose. In questo modo, Pepino ha la possibilità di avere una doppia visibilità: dalla community delle blogger innanzitutto, il gruppo affiatato che si riconosce online (e sempre più spesso offline) grazie ad un’unica passione, quella per la cucina. L’esperienza viene poi traslata sul seguito che ogni blog ha, i lettori affezionati che scelgono un sito piuttosto che un altro in base alle loro esigenze ed ai loro gusti. Un allargamento della community al cubo, insomma.
I blogger possono anche essere uno strumento per accorciare le distanze tra il brand ed il consumatore: sono i personaggi in cui quest’ultimo si riconosce, li sente più vicini e più simili a sé, magari immaginandoli tra i fornelli di casa proprio come lui. è quel gap che difficilmente viene colmato tra chef e consumatore, soprattutto dopo l’ondata di programmi televisivi capeggiata da Masterchef che eleva i cuochi ad esseri intoccabili, perfetti, quasi semidei fermi sul loro piedistallo.
La reinterpretazione del Pinguino porta in sé uno degli elementi strategici più utilizzati negli ultimi tempi: la customization, la personalizzazione che coinvolge il consumatore spingendolo a rendere unico il prodotto fruibile su larga scala. Non a caso, il Pinguino è disponibile in più gusti, alcuni dei quali raccontano meglio di altri la storia di Pepino (la viola, per esempio, o il torinesissimo gianduia). Non si tratta, poi, solo di guarnire, ma anche di abbinare, calibrare i sapori, tutti quelli offerti dalla gamma di gusti, mettendo alla prova le proprie doti culinarie (come i blogger), ma senza essere dei maghi dei fornelli (come gli chef).
Per un brand squisitamente italiano, la strategia online non poteva non toccare così nel profondo una dote di cui tutti noi ci vantiamo all’estero: la buona cucina.
La costante presenza sui social network poi aiuta a sentire la vicinanza del brand stesso, evitando che il livello quasi “serioso” che accompagna Pepino (dalla sua storia al packaging), non venga scambiato per altezzosità, anzi, diventi un riconoscimento dell’eleganza e della qualità che accompagnano i prodotti dal 1884.
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Francesca Mastrovito. Laureanda presso la facoltà di Scienze Linguistiche dell'Università Cattolica, coltiva da sempre una grande passione per il mondo del food e per le sue diverse declinazioni mediatiche. Gestisce un foodblog personale che le permette di analizzare in prima linea la recente versione 2.0 di questo settore .