Da Marlboro Classics a MCS: quando il renaming non cambia il DNA di brand
Brand life
Da Marlboro Classics a MCS: quando il renaming non cambia il DNA di brand
06/05/2013

Mauro Valentino – Master Univ. Cattolica – IAB, Network di Brandforum.it
Cambiare nome e rimanere se stessi, come nel caso del brand made in Italy Marlboro Classics che diventa MCS. Una campagna, We The People, che racconta l’identità di brand tra spazi on e offline.

Come recita il sito corporate di MCS, da oltre 25 anni la ex Marlboro Classics rappresenta il casualwear di qualità, ovvero il segmento informale di un abbigliamento dalla forte tradizione stilistica e artigianale del Made in Italy – ricordiamo che MCS fa attualmente parte del Valentino Fashion Group – unita a un sapore per uno stile di vita ispirato al West Americano.

 

Know how italiano e lifestyle tipicamente americano, dunque, e in particolare del “selvaggio West”: donne e uomini (che indossano) MCS sono “viaggiatori che amano tutto ciò che è autentico”: l’emozione autentica, lo spirito indipendente, il legame con radici profonde, del territorio in cui si vive e del passato cui si appartiene, sono i valori su cui quella che era Marlboro Classics ha costruito negli anni il proprio DNA di brand, ovvero quei tratti, per così dire, genetici, che hanno reso agli occhi del proprio pubblico di riferimento un capo Marlboro immediatamente riconoscibile e distinguibile dagli altri, e soprattutto hanno reso distintivo il mondo valoriale che quel capo porta con sé.

 

MCS è il caso di un termine di licenza con la ITI – International Trademark Inc. – che è diventato occasione per un’operazione di brand renaming in cui la sfida maggiore era quella di conservare tutto ciò che era il proprio passato di marca: cambiare nome, ma non identità, insomma.
Che il nome, per un brand, rappresenti (quasi) tutto, sembra qualcosa di scontato: meno scontata è invece una campagna rivoluzionaria o, se si preferisce, evolutiva, progettata già nel lontano 2009, per accompagnare il brand nella delicatissima fase del renaming: fase in cui non è tanto il cambiamento del nome in sé a costituire la reale problematica e la reale sfida per un fashion brand, quanto il possibile cambiamento percettivo da parte del pubblico di riferimento.

 

Un brandname è infatti, né più né meno, che lo specchio del brand, o perlomeno dovrebbe esserlo: comunicare, anche attraverso il nome, il proprio universo valoriale è alla base del rapporto emozionale e nel tempo fiduciario fra marca e pubblico; il nome sa quindi condensare in sé i core values del brand ed è, il più delle volte, ciò che genera le risposte più istintive da parte dei consumatori: va da sè allora quanto il renaming sia un momento più che delicato della vita della marca e quanto, in questo passaggio, la comunicazione debba essere gestita con prudenza e a piccoli passi.
 

 

We The People è la campagna con cui Valentino Fashion Group ha inteso comunicare al pubblico un cambiamento di nome che non vuole essere anche cambiamento di valori e di storia: partendo dalle prime tre parole della Costitiuzione Americana, la campagna, sviluppata con l’agenzia di comunicazione Kitchen Stories, vuole sottolineare “il senso collettivo di un popolo, il valore della comunità, il valore della libertà”: evidente il richiamo ai valori della ex Marlboro Classics, quei valori di comunità, libertà, legame con la terra e con il proprio passato storico e individuale che sono raccontati attraverso un universo di personaggi, i quali, con le loro storie, riaffermano lo stile di vita naturale e aspro del West americano.

 

La campagna, ancora in corso, We The People ha come parola d’ordine, quindi, fare storytelling: i brand values rimangono forti perché direttamente raccontati e messi in scena, attraverso quei microfilm – visionabili sul sito ufficiale – in cui, attualmente, incontriamo Josh, Sebastian, Clancy e Drea, ma anche i loro compagni di viaggio, i gemelli Cody e Jared, la band Bad Weather California e la squadra di soccorso di una stazione sciistica; prima di loro, i sette personaggi del 2012, tra cui la “nonna wrangler” Barbara, la madre “a tempo pieno” Dixie e il custode di ranch Andrew, che hanno dato inizio a una campagna pubblicitaria che è una sorta di macrostoria non conclusa che si nutre via via di microstorie individuali.

 

“Gente semplice, i cui volti raccontano tutta una vita. Era quello che volevo, senza modelli che mai sarebbero sembrati autentici”: le parole di Stefano Sassi del Valentino Fashion Group ci parlano di una campagna in cui il “fashion” è quello del comune e del quotidiano: fascino raccontato attraverso un vero e proprio viaggio in una America rurale elegante perché autentica, dallo stile ruvidamente country. Viaggio che il pubblico fa in compagnia di attori che non sono modelli professionisti: una scelta voluta e significativa da parte di un fashion brand che, nel patinato mondo della moda, vuole distinguersi, sempre in maniera sofisticata e fascinosa, per uno stile distintivo dai tratti più ruvidi, aspri, “autentici”.

 

Quello di We the Peole è uno storytelling che ha i suoi prolungamenti nei punti vendita e nei social media: i primi, soprattutto quelli di Milano in Corso Venezia e degli Champs-Élysées a Parigi, in concomitanza con la campagna, hanno visto un loro restyling per diventare “luoghi di brand”, mediante installazioni ed elementi scenografici riconducibili al lessico dell’immagine rinnovata di marca di MCS. Presenti anche dei window displays che trasmettono i filmati.

 

I social media, e in particolare Twitter, Tumblr e Facebook nel caso di MCS, hanno, ancora una volta dimostrato la loro forza e le loro potenzialità nel diventare punto di incontro più diretto – anche nel distante mondo del fashion – tra brand e pubblico: punto di forza decisivo nel momento cruciale del renaming, in cui il legame emotivo, affettivo, fiduciario con il consumatore è la leva sulla quale agire per allontanare il rischio di una “perdita di memoria” da parte del consumatore stesso.
La strategia social di MCS si rivela centrale anche per la scelta di rimandare immediatamente, dalla homepage del sito ufficiale, al social stream dei vari canali sociali, che scelgono di essere veicoli comunicativi non troppo accentrati sul brand, condividendo storie e immagini del West non sempre legati alla marca, quanto più al suo lifestyle. E in occasione di Pitti 2013 segnaliamo l’iniziativa di live tweetingWhat’s the movie of your life?” in cui twittare il film della propria vita includendo #MCSMyMovie: e in cui, idealmente, ricongiungersi al mondo “cinematografico” delle storie e dei filmati di We The People.

 

Il tempo del cowboy urbanizzato, quello della prima fase della transizione da Marlboro Classics a MCS, sembra definitivamente passato: il lifestyle più metropolitano che, prima di iniziare con il nuovo progetto We The People, voleva caratterizzare una rinnovata brand image, ha lasciato il posto al ritorno del lifestyle naturale e aspro delle origini; mossa azzeccata che ha evitato gli sgradevoli imprevisti della disaffezione del pubblico. Di questa fase dai sapori dello urban style ci rimane il logo, che ha perso la M con l’allungamento a corna di bufalo e la C a timbro di marchiatura del bestiame. Un logo di fatto più internazionale, come internazionale vuole essere ora la strategia di espansione del marchio da parte del Valentino Fashion Group.

 

Fare piccoli passi alla volta, mantenere la coerenza con la propria immagine e i propri valori di marca, seguire una strategia chiara, essere sociali: questi gli ingredienti del caso di MCS, che può classificarsi come un buon esempio di brand renaming, nel quale cambiare nome non ha significato perdere la memoria e, anzi, ha portato a una riaffermazione, non statica bensì evolutiva, del DNA della marca.
Il prossimo passo sarà quello di emanciparsi davvero del tutto, ovvero nella mente dei consumatori, dal vecchio caro “Marlboro Classics”, attualmente ancora molto presente anche negli ambienti online. Ma la campagna We The People sembrerebbe solo all’inizio.

 

 

 

Mauro Valentino. Laureato in Lettere Moderne all'Università degli Studi Milano, ha svolto collaborazioni e progetti con aziende e web agency negli ambiti SEO, SEM e Web Copywriting. Ha collaborato inoltre come redattore per portali online di artivi visive e fumetto. Ha frequentato il Master Iab in comunicazione, marketing digitale e pubblicità interattiva dell'Università Cattolica di Milano.
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