Brand name stories.
Brand name stories.
Beatrice Ferrari, Linda Liguori
2005, Lupetti

Il volume da poco uscito nelle librerie italiane raccoglie, in modo semplice e comprensibile, la storia di 75 marche raccontate attraverso il loro nome. Vari elementi hanno orientato la scelta di questi brand name che spaziano da Absolut a Xerox: dalla loro presenza nella classifica stilata da Interbrand in collaborazione con la rivista Newsweek al loro essere veri “miti” del panorama nazionale e internazionale, nonché la particolarità  o i fattori di curiosità  legati ad alcuni nomi.
Vari anche i punti da cui sono stati osservati questi nomi: il significato intrinseco, l’espressione fonetica, la capacità  di comunicare a livello internazionale. A completare il tutto un ampio e diversificato bagaglio di immagini che fissano, come in una sorta di frame-stop, alcuni momenti chiave della storia di questi naming.
Le autrici di questo volume sono, come originalmente espresso nel profilo biografico, Beatrice Ferrari, fondatrice di Nomen Italia, ma soprattutto colei che unisce il “rendere felice e portare beatitudine e serenità ” alla capacità  di “forgiare la lingua, per cercare la forma e l’equilibrio delle parole e per scolpire i nomi” e Linda Liguori, esperta di naming, ma soprattutto a esso legata con passione (come il suo nome e cognome paiono raccontare).
Abbiamo rivolto alcune domande a una delle due Autrici, Béatrice Ferrari, sia per farci raccontare qualche dettaglio in più del volume, sia per ragionare insieme sullo stato attuale del valore dei brand naming.

Nel vostro testo parlate a un certo punto di “segreti della ricetta..”: quali sono gli ingredienti base per la costruzione di un efficace e azzeccato brand naming ?

Ci sono degli ingredienti base da utilizzare per far riuscire al meglio una ricetta di brand naming:

– 1 dosa cospicua di strategia
– 4/5 sedute di creatività 
– 1 verifica linguistica
– 1 ricerca di anteriorità  legale
– Vari gruppi di controllo sul target di riferimento
– 1 registrazione del nome come marchio

Bisogna poi tenere presente che il nome dovrà  essere valido nel momento del lancio del prodotto, ma anche 5, 20, o addirittura 100 anni dopo come si vede dalle storie riportate nel volume. È fondamentale definire il suo compito di comunicazione a lungo termine! Il pensiero laterale va poi utilizzato sulla base di una strategia chiaramente definita. I gruppi di brainstorming possono essere tanti e sono più produttivi quando partecipano persone non direttamente coinvolte nel progetto. Dopo un’attenta selezione, si passa alla fase di verifica linguistica: consiste nell’accertarsi che il nome sia pronunciabile e privo di connotazioni negative. La verifica legale consente invece di assicurarsi che nessun nome identico o simile sia già  registrato nella stessa categoria merceologica. Il consumatore va poi coinvolto su un numero ristretto di nomi disponibili presentati ‘nudi’, in modo da verificare la coerenza delle loro connotazioni. Infine, una volta fatti questi controlli, il nome più giusto è registrato per diventare marchio di proprietà  esclusivo ®

Variazioni della ricetta:
Alcuni ingredienti sono facoltativi e servono da condimento e in funzione del gusto particolare da dare al nome:
– In funzione della destinazione geografica della marca (nazionale, europea, mondiale) si aggiungeranno un numero di ricerche e di registrazioni corrispondenti al numero di paesi da coprire
– Alcune lingue, come il cinese, richiedono ricerche specifiche
– Verifica e registrazione come nome a dominio
Avvertenza: Per un miglior risultato, si consiglia di studiare la ‘decorazione’ del nome (lettering, colori, simbolo) solo una volta che si è verificato e scelto il nome giusto.


Molti dei nomi che trattate nel volume non hanno un’origine creativa o , per così dire, a tavolino, ma derivano dai cognomi dei loro fondatori, come ad esempio Barilla, Benetton, Jacuzzi! Se, come sentenziava Cicerone, Nomen est Omen, e dunque ogni nome è un presagio, quali fra i nomi di queste storiche marche si sono dimostrati in particolare sintonia con le successive scelte aziendali?

La maggior parte dei nomi analizzati nel libro ha più di 50 anni; questo significa che questi nomi sono stati scelti in un’epoca in cui il marketing era ancora un approccio commerciale focalizzato sui beni tangibili.
La domanda da farsi è la seguente: c’è un motivo perché proprio questi nomi sono riusciti ad attraversare i tempi acquisendo sempre più valore?
In realtà , il significato del nome non è prioritario; come si vede da esempi quali Nokia, Dash o Ikea, sono nomi che funzionano anche se il significato non è percepito dal consumatore. Sono nomi brevi, facili da pronunciare a livello globale, e hanno un ‘suono’ molto memorizzabile. Il nome può essere paragonato ad una musica: come un ritornello, ci sono quelli che si memorizzano e si apprezzano, che attraversano i tempi e le mode, e ci sono quelli che si dimenticano, che non funzionano, che non sono ‘orecchiabili’. Il suono della parola funziona come una carta assorbente che accumula i valori veicolati dalla marca nel corso della sua vita. Il significato reale passa quindi in secondo piano. L’impatto del nome è innanzitutto fonetico.
Ma soffermiamoci su alcuni di questi significati persi. E’ curioso scoprire alcune connessioni inaspettate tra origine del cognome e produzione commerciale firmata dalla marca: ad esempio Barilla deriva dal sostantivo barile che indica ‘un recipiente simile a una piccola botte, impiegato per la conservazione di liquidi o polveri, in particolare farina.’ La pertinenza con la bottega di fornaio aperta da Pietro Barilla nel 1875 è sorprendente! A questo si può aggiungere il significato originario dei cognomi Benetton (benedetto), Jacuzzi (Dio ha protetto), Ferrari (fabbro), e tanti altri da scoprire in Brand Name Stories.


Il vostro volume ha come obiettivo quello di mostrare il peso e la portata del naming all’interno delle scelte comunicative? Come mai in Italia, a fronte di una continua crescita di attenzione nei confronti della marca (mi riferisco non solo ai numerosi testi di letteratura, ma anche all’interesse dimostrato dai mass media per il brand), non si rileva un’altrettanta cura per il naming (pochi volumi sul tema, scarsità  di notizie veicolate sia off che on line!)?

In realtà  l’obiettivo del volume è maggiormente quello di indagare alcuni nomi famosi, nati dall’ispirazione di un singolo o da una tradizione commerciale (come quella dei cognomi), per verificare se effettivamente quei nomi avevano delle qualità  tali da partecipare al successo della marca. E così è stato: la lunghezza dei nomi analizzati varia da 1 a 4 sillabe, con una stramaggioranza di 2/3 sillabe. Alcuni nomi nati lunghi (vedi ibm, fiat, !) si sono accorciati nel tempo per acquisire un migliore impatto commerciale. L’unico nome che ha seguito la strada opposta non è stato adottato nella sua nuova versione dal pubblico anche se viene comunicato nella sua versione lunga: quando mai si è sentito una persona dire ‘ho comprato questa maglietta da United Colours of Benetton’? Benetton è nato, e Benetton è rimasto per il consumatore.

Per quanto riguarda lo sviluppo della disciplina in Italia, c’è ancora sicuramente una mancanza di attenzione ai costi reali del brand naming. Un nome sbagliato costa caro, un nome giusto fa risparmiare. Il tutto è capire il giusto e lo sbagliato e non confonderlo con il bello o brutto. Sono numerosi gli esempi di nomi individuati in modo frettoloso, con un investimento finanziario minimo, che poi si sono rivelati carissimi per via di cause legali, di significati dubbi o di pronuncia difficile.

Due fenomeni, pur diversi per portata, dimensione, caratteristiche, hanno in qualche modo agito e influito (chi sostiene positivamente, chi sostiene negativamente) sul mondo di marca e sui suoi modi di comunicare: il fenomeno della rete, da un lato, e la crescente componente multisensoriale, dall’altro. Quali i riflessi di questi due fenomeni sul naming? Sono in qualche modo cambiate le logiche di costruzione di un nome vincente?

Se parliamo del primo fenomeno, la rete, possiamo sicuramente affermare che ha influenzato notevolmente l’attività  di brand naming: basta pensare che si naviga sulla rete con l’uso delle parole. Molte marche hanno dovuto confrontarsi con la capacità  del proprio nome a comunicare senza l’aiuto della sua veste grafica: in prima battuta — pensiamo banalmente all’indirizzo Internet — non ci sono né lettering, né colore, né simbolo.
La fine degli anni novanta ha visto addirittura una deriva nell’investire somme colossali sui nomi a dominio (ricordiamo il domain name ‘business.com’ venduto a 7 milioni di dollari!).
Passata questa ‘epidemia’, l’investimento è stato ridimensionato, e la rete si è adeguata alle regole della proprietà  industriale: qualsiasi nome commerciale essere verificato come marchio prima dell’uso. L’indirizzo Internet è una vera e propria insegna on-line, e come tale deve sottostare a precise regole di utilizzo. La verifica di disponibilità  preventiva impedisce a chiunque di utilizzare come domain name un nome già  registrato come marchio da un concorrente.
Da allora le aziende hanno cominciato a richiedere in modo più sistematico l’aiuto dei propri consulenti di comunicazione per l’identificazione dei nuovi nomi e da allora numerose sono le agenzie (di packaging, di comunicazione, di marketing, !) che hanno inserito tra i loro servizi la consulenza di brand naming.
Per quanto riguarda l’approccio multisensoriale della marca, si tratta di un fenomeno ancora nascente in Italia. Una vera e propria coscienza della marca poli-sensoriale è ancora da sviluppare.
Il brand name è senz’altro un elemento multisensoriale. Come si diceva prima l’impatto del nome è prima di tutto fonetico. Si capisce quindi che il nome è ben più di un insieme di lettere: coinvolge l’udito (il suono è più o meno armonioso), il gusto (il nome si ‘mastica’ più o meno bene), la vista (l’accostamento delle lettere è più o meno leggibile). Coinvolge l’immaginazione, tende a fare sognare, ecc!

Il fatto che in Italia esista tuttora una sola struttura completamente dedicata al brand naming la dice lunga sulla maturità  del nostro mercato. Gli Stati Uniti hanno assistito ad una proliferazione delle strutture specializzate, che oggi esistono a centinaia. In realtà  i nomi delle marche in Italia hanno costi molto più alti anche se le aziende investono pressoché zero nella loro individuazione: i costi arrivano dopo, come abbiamo visto prima, per via di problemi legali, linguistici o di marketing.

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