Esiste ancora un orizzonte di senso per le marche locali, fortemente connotate dal riferimento ad un luogo? È possibile sviluppare engagement nei loro confronti? E se sì, in che modo?
Sappiamo che la relazione nei confronti dei brand non si sviluppa in un vuoto asettico e privo di prospettive, ma “prende corpo” in uno specifico contesto: economico, sociale, geografico, culturale. Tuttavia, le riflessioni e le ricerche empiriche sull’engagement nei confronti del local brand e sulla relazione con il place of origin, in cui questo costrutto si radica, appaiono decisamente limitate, forse perché le marche di questo tipo vengono spesso considerate presenze residuali, destinate ad essere assorbite entro l’arco gravitazionale delle grandi marche globali. Insomma, lo sguardo degli studiosi interessati al brand engagement, uno dei temi di maggior rilievo in ambito manageriale, si è finora concentrato su Apple, Samsung, Facebook, Harley, Alfa Romeo, trascurando vistosamente i brand legati a specifici territori.
Cerca di recuperare questo gap il volume del nostro Senior Editor Gabriele Qualizza, Il ritorno dei luoghi. Place of origin, marche locali, consumer engagement: nuove mappe per creare valore, pubblicato dalla casa editrice ETS di Pisa. Il testo nasce da un ampio progetto di ricerca, finanziato dalla Camera di Commercio di Gorizia e dedicato al coinvolgimento del consumatore nei confronti delle marche locali.
Tra la mia casa e il mondo: marche “post-global”
La sfida tra “local” e “global” è un tema di stringente attualità in questo momento.
Il processo di internazionalizzazione dell’economia mondiale ha portato negli ultimi decenni a una progressiva omologazione delle conoscenze, dei gusti, degli stili di vita delle persone: un trend che le grandi marche globali hanno ampiamente “cavalcato”, sviluppando un approccio sistematicamente orientato alla standardizzazione dell’offerta e delle strategie di marketing.
Eppure, nonostante la globalizzazione e l’omologazione siano state indicate come tendenze inarrestabili dell’economia mondiale, emergono sempre più spesso fenomeni di segno contrario, caratterizzati dalla riscoperta delle specificità locali oppure dal tentativo di adattare le politiche di marketing di brand distribuiti a livello internazionale ai gusti, alle preferenze e alle tradizioni culturali delle singole realtà nazionali, al punto che Kapferer ritiene opportuno parlare di marche “post-global”.
Si pensi alla curiosa vicenda di McDonald’s che, dopo aver rappresentato per decenni l’emblema della globalizzazione in campo alimentare, ha dovuto adattare le sue scelte strategiche alle attese di un consumatore più esigente: disposto ancora a pasteggiare ai tavoli di un fast food, ma solo a fronte di un menu di opzioni maggiormente articolato, rispettoso delle tradizioni culturali di ogni singolo Paese. Oppure al brand di abbigliamento donna Claudie Pierlot, con sede nel cuore del 1er arrondissement di Parigi, che ha fatto della città sulla Senna il proprio filo conduttore, muovendosi a tutti gli effetti come se fosse un “local brand” e richiamandosi in ogni manifestazione al proprio “place of origin”. Ma si veda anche il concept della campagna pubblicitaria “Sei di Parma, se…”, ispirato al legame tra il prosciutto di Parma e i valori – genuinità, autenticità, convivialità, saper fare – che caratterizzano un “territorio” non riducibile alla semplice indicazione di provenienza.
Tuttavia, per quanto si sia cominciato a parlare di “marche” anche in riferimento ai prodotti tipici e alle eccellenze di un territorio, gli interrogativi aperti sono ancora tanti. Si tratta, in primo luogo, di evidenziare le molteplici dimensioni con cui le marche locali si raccontano, il livello d’intensità con cui le stesse svelano la propria identità e i propri valori, nonché il differente peso attribuito agli aspetti emozionali e a quelli razionali nel riscoprire il proprio passato per delineare il proprio futuro; in secondo luogo, di capire se la spinta a riscoprire l’heritage di un territorio si traduca necessariamente nell’esercizio di forme di chiusura localistica, segnate dal trionfo dei riferimenti identitari, o non possa invece aprirsi a un più ampio orizzonte, “contaminandosi” con un variegato insieme di significati; in terzo luogo, di colmare i gap di conoscenza relativi alle strategie e alle pratiche manageriali utilizzate per sviluppare il coinvolgimento degli interlocutori, sondando anche la presenza di approcci orientati alla creazione di valore condiviso.
Place Branding & Consumer Engagement
Il volume “restituisce” i principali risultati dell’indagine, integrandoli sia con il contributo di esperti e studiosi (Patrizia Musso dell’Università Cattolica di Milano, Renata Kodilja dell’Università di Udine e Stefano Spillare dell’Università di Bologna), che arricchiscono di ulteriori sensi il quadro teorico di riferimento, sia con la presentazione di quattro aziende di eccellenza, che esprimono una particolare sensibilità nei confronti dell’ambiente e del place of origin dei rispettivi brand.
Il testo è organizzato in tre parti.
Nella prima vengono offerti gli strumenti analitici, utili a delineare lo sfondo teorico da cui ha preso le mosse l’indagine, che si è avvalsa di un insieme di riferimenti trasversali a una pluralità di discipline: dalla sociologia al marketing, dalla psicologia della comunicazione alla geografia.
Nel ricostruire la riflessione attorno al tema dell’engagement l’autore segnala come le letture più avanzate insistano sul carattere disruptive di tale concetto. In questa prospettiva, l’engagement offre l’opportunità per dilatare la sfera di applicazione del marketing oltre i limiti dell’impresa, evidenziando la natura del valore – non più esclusivamente economico, ma anche sociale, culturale ed ambientale – che viene generato nel corso dell’interazione con i diversi stakeholder.
Nella seconda parte, di carattere empirico, vengono proposti i risultati emersi dall’indagine sull’engagement nei confronti dei brand locali, condotta mediante interviste in profondità a testimoni qualificati: imprenditori, manager e consulenti di piccole e medie imprese operanti in un territorio, come quello di Gorizia, che è noto a livello internazionale per l’eccellenza delle produzioni vinicole. Dall’analisi delle risposte emergono tratti di debolezza, comuni anche ad altri sistemi produttivi locali (enfasi eccessiva sul prodotto, immagine sfuocata del territorio, difficoltà a “fare rete” e a proporsi come sistema), ma anche elementi di considerevole interesse: in particolare, il brand locale si propone come operatore di convergenze, istanza di congiunzione e di passaggio tra mondi diversi e distanti, capace di giocare un ruolo strategico nei percorsi di trasferimento delle conoscenze e nei processi di sviluppo dell’innovazione.
Nella terza parte, infine, viene proposto il “racconto” di quattro casi di eccellenza.
Ampio spazio è dedicato all’azienda vinicola Gravner, protagonista assoluta e pluri-premiata del vino italiano e della sua storia recente. L’attenzione si focalizza quindi su Biolab, azienda che ha assunto un ruolo di leadership nel settore dell’alimentazione biologica. Di particolare interesse è anche il caso dell’atelier creativo Tu&Tu, giovane e già affermato brand, impegnato nell’ambito dell’ethical fashion. Ricca di spunti e di suggestioni sulla circolarità tra “fare” e “pensare”, “agire” ed “essereagito”, “serietà” e “gioco”, che caratterizza ogni attività creativa è infine la presentazione del laboratorio orafo Antracite.
Nell’insieme, da questo percorso emergeun’immagine inattesa del local brand: non più nostalgico residuo di epoche passate, custode silenzioso di memorie e di saperi sedimentati in una lunga tradizione, ma piuttosto attore dell’innovazione e outsider, capace di scompaginare le regole del gioco dettate dalle grandi marche globali. Alla luce di tale prospettiva, il tema della trasformazione, ossia la capacità di suggerire nuove combinazioni di concetti e materiali già conosciuti, si profila come chiave di volta, per riuscire a tradurre queste potenzialità in speranza progettuale e in storytelling orientato al domani.