La vetrinizzazione sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società
La vetrinizzazione sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società
Vanni Codeluppi
2007, Bollati Boringhieri

In questo libro Vanni Codeluppi analizza un fenomeno che ha alimentato, a partire dal XVII secolo, il processo di spettacolarizzazione ossessiva, che caratterizza ormai tutti gli ambiti della società  occidentale. E’ la vetrinizzazione sociale, cioè l’amplificazione esagerata della funzione esercitata inizialmente dalle vetrine dei negozi verso le merci esposte, la quale si proietta, ora, dall’altra parte del vetro, sull’individuo stesso, che diventa inevitabilmente oggetto della messa in scena quotidiana, soprattutto attraverso l’uso dei media.
Il modello della comunicazione della vetrina si basa su alcuni valori fondamentali:

– la vita in solitudine del fruitore, che decide da solo il meccanismo di lettura e stabilisce un rapporto stretto e diretto con la merce esposta, senza intermediazione;
– l’istantaneità  della vetrina, che deve colpire immediatamente il passante;
– lo spazio di sogno, che immerge l’osservatore in un mondo artificiale, in cui può realizzare i propri desideri grazie al possesso della merce esposta;
– la spettacolarità  dello spazio, che deve essere sempre in dosi maggiori, perchè non se ne può far a meno.

Dal punto di vista storico lo sviluppo industriale, lo sviluppo delle città  e l’urbanizzazione di massa hanno modificato le classiche logiche commerciali, secondo cui la compravendita di un bene avveniva all’interno del negozio, nel retrobottega, attraverso la contrattazione tra venditore e cliente e senza alcuna enfasi sul prodotto stesso, a favore dell’esaltazione e dell’ostentazione delle meraviglie che vengono esposte.
L’obiettivo è sedurre, è proporre una messa in scena teatrale in cui i prodotti parlino in modo ammiccante direttamente al passante. Infatti la dimensione estetica ed edonistica viene privilegiata a quella prettamente funzionale della vetrina, affinchè ad essere colpiti siano i sensi e il cuore non la ragione, secondo le logiche del consumo.
Così nel processo di vetrinizzazione il corpo umano perde l’identità  personale che lo caratterizza, per costruire un’identità  sociale basata sui valori che le merci sono in grado di comunicare, grazie al fatto che queste possiedono delle identità  ben definite, le quali derivano da strategie aziendali e pertanto sono facilmente consumabili.

Quindi anche il corpo si annulla nel consumo estetico ed edonistico, effimero ed immediato. Esso non segue i dettami legati all’etica funzionale del lavoro, ma insegue disperatamente le mode e i costumi tipici della cultura occidentale per raggiungere l’ideale di perfezione estetica: il corpo si fa packaging. Come le merci dispongono di un rivestimento seducente, così il corpo diventa autoreferenziale, cioè oggetto di se stesso con risultati talvolta nocivi(1) .
Il corpo in vetrina perde anche la dimensione privata. Infatti il confine con la sfera pubblica diventa labile e il prezzo da pagare è la sovraesposizione dei propri sentimenti, della propria identità . L’eccessiva amplificazione del privato viene facilitata dai mezzi di comunicazione, soprattutto dalle nuove tecnologie (internet, social networking, videofonini, webcam), con le quali lo spazio in vetrina diventa virtuale e ancor piò libero da condizionamenti. Da questo punto di vista qualsiasi aspetto pubblico e privato della propria vita diventa performante, cioè l’obiettivo è plasmare la propria identità  attraverso performance spettacolari solo perchè il metterle in scena è dettato dalla moda, dal momento, dalla contingenza, a prescindere dal reale interesse(2).
Il bisogno di vetrinizazzione va costantemente alimentato e la televisione, in particolare, fornisce delle fonti ricche di modelli interpretativi e di nuovi valori, basati sempre sulla rappresentazione spettacolare della realtà , persino degli aspetti più banali della vita quotidiana. La televisione dà  la possibilità  di costruirsi più identità  sociali secondo i modelli largamente condivisi, laddove le classiche istituzioni sociali sono ormai in crisi.
La realtà  messa in scena diventa più vera del vero proprio perchè filtrata dalla televisione; essa acquista maggiore legittimazione perchè è la televisione ad enunciarla. Ciò che conta non è ciò che si dice, che può essere anche non vero, ma come lo si dice. L’atto dell’enunciazione è più importante dell’enunciato. Il rischio è che anche il confine tra reale e immaginario scompare.

Un altro spazio vitale dove attuare il processo di vetrinizzazione è sicuramente la città .
Le grandi metropoli hanno adottato la logica spettacolare dei nuovi luoghi di consumo alla moda, realizzati da architetti superstar(3), che hanno modificato il tessuto urbano affinchè la città , come il corpo, svolga la migliore delle performance possibili, innescando, ad es., la concorrenza tipica delle occasioni di assegnazione di manifestazioni sociali, culturali, sportive di rilevanza mondiale. A tal proposito Amendola afferma che: ‘Con questo obiettivo essa deve sedurre e convincere sia emotivamente sia discorsivamente: deve darsi un’immagine plausibile e adeguata in funzione di un obiettivo di mercato (il ruolo che la città  intende svolgere), un target sociale (a chi si rivolge), il passato e le potenzialità  (con quali argomentazioni)'(4).
Non si tratta di semplice restyling, ma di recupero e riadattamento di spazi esistenti, che si caricano di nuovi significati culturali legati al consumo. Così il cittadino visitatore non sarà  attratto solo dall’aspetto commerciale del consumo, ma soprattutto dall’aspetto ludico, edonistico e di intrattenimento, che si traduce in espressioni come shopping experience, shoptainement.
L’estetizzazione della vita quotidiana si fonde con gli eccessi visivi delle architetture urbane e la città  risponde più a desideri immediati che ai bisogni reali.
I nuovi luoghi del consumo, però, non si riferiscono solo alle attività  commerciali, ma investono nuovi spazi come musei, alberghi, aeroporti, comunità  esclusive, ristoranti e parchi a tema, sino alla messa in scena dello spazio estremo: la morte.

A colpire è l’esposizione spettacolarizzata della morte, forse per essere esorcizzata, resa meno sconvolgente e facilmente consumabile. Basti pensare ai servizi funebri sempre più personalizzati, come i funeral homes, con cui si restituisce al defunto un’aria di naturalezza come se fosse ancora vivo; ai siti dedicati, in cui ognuno può lasciare un messaggio di cordoglio e innalzare un monumento funebre.
Anche gli artisti contemporanei fanno ricorso alla messa in scena della morte. Damien Hirst espone corpi interi o pezzi di animali morti in teche di formaldeide, mentre Maurizio Cattelan è stato al centro dell’attenzione per le sue opere. La televisione, poi, esaspera e amplifica allo scopo di produrre eventi in grado di catalizzare l’attenzione e quindi un funerale o un processo penale legati a fatti gravi diventano eventi a cui bisogna partecipare, proprio perchè filtrati dalla telecamera che sacralizza.
La cassa di risonanza dei mezzi di comunicazione abitua lo spettatore ad attutire la sensazione di disagio, sino a rendere la morte un’esperienza mediatica, artificiale, distaccata ma allo stesso tempo quotidiana.

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note
(1) Si pensi alle pratiche cosmetiche eccessive, all’uso troppo frequente della chirurgia plastica, ai problemi alimentari fino ad arrivare ai fenomeni del feticismo, dell’autoflagellazione o della violenza sul proprio corpo. presso agenzie di comunicazione e redazioni di pubblicazioni periodiche.

(2) Lo sport, l’abbigliamento, la cura della persona, l’abitazione, ad es., sono ambiti che risentono dei valori estetici ed edonistici del modello di consumo occidentale. presso agenzie di comunicazione e redazioni di pubblicazioni periodiche.

(3) Si pensi al progetto della città  della moda di Milano. presso agenzie di comunicazione e redazioni di pubblicazioni periodiche.

(4) Amendola, G., La città  postmoderna. Magie e paure della metropoli contemporanea, Roma-Bari Laterza, 1997, p. 196.


Vanni Codeluppi insegna Sociologia dei consumi all’Università  IULM di Milano. Tra gli altri suoi libri ricordiamo: Lo spettacolo della merce (Bompiani, 2000), Che cos’è la pubblicità  (Carocci, 2001), Che cos’è la moda (Carocci, 2002), Manuale di Sociologia dei consumi (Carocci, 2005).

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(*) Cristiano Morrone, 27 anni, laureato nel 2004 presso IULM di Milano in Relazioni Pubbliche (v.o.), con specializzazione in consumi e pubblicità . Ha conseguito un master di II livello in brand communication presso Politecnico di Milano. Ha avuto esperienze lavorative presso agenzie di comunicazione e redazioni di pubblicazioni periodiche.

 

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