Haribo e Svezia in contrasto per le liquirizie “Skipper Mix”
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Haribo e Svezia in contrasto per le liquirizie “Skipper Mix”
07/02/2014

Francesca Mastrovito, Network di Brandforum.it
Il caso Haribo e il ritiro dal mercato svedese di alcune caramelle gommose considerate discriminatorie.

È la resa dei conti tra brand e consumatori, ora più che mai. Il caso del ritorno in produzione del Winner Taco non è assolutamente isolato. Dimenticate i vecchi sondaggi di mercato: forti dell’eco che solo i social media possono dare, i consumer intraprendono vere e proprie campagne a favore dei propri bisogni, effimeri o giustificati che siano. Quando poi entrano in gioco valori forti ed impegno sociale come, per esempio, quello contro ogni tipo di discriminazione, il risultato non può essere che un adattamento forzato del brand al loro volere.


Stiamo parlando di Haribo, che lo scorso 18 gennaio ha annunciato il ritiro dal mercato svedese e danese di alcune caramelle gommose reputate razziste. Si tratta di maschere tribali tipiche africane, orientali e sudamericane di colore nero (le caramelle in questione sono a base di liquirizia).

 

Queste non sono affatto una novità tra i prodotti del celeberrimo brand dolciario, bensì fanno parte da tempo del pacco assortito di liquirizie “Skipper Mix”, in vendita da diversi anni.  Insomma, troppo offensive per la Svezia politically-correct. A sparire dal mercato però non è l’intera confezione assortita, ma –come annunciato da Ola Dagliden, CEO di Haribo Svezia – solo le caramelle incriminate, bersaglio di feroci proteste scatenatesi su diversi social media, da Twitter a Facebook fino ad Instagram.

 

Ovviamente, non trattandosi di prodotti che possano arrecare rischi alla salute, tutte le confezioni già rilasciate sul mercato non verranno ritirate, ma Haribo ha comunque voluto lanciare un messaggio nel rispetto dei consumatori scandinavi adottando, d’ora in avanti, il provvedimento in questione. “Cambieranno le caramelle ma possiamo assicurarvi che non cambierà il sapore di sempre”, recita la frase conclusiva del messaggio di scuse che Haribo Svezia ha lanciato su Facebook il 20 gennaio, come dire che è con la solita dolcezza che vi veniamo incontro, proponendovi questo compromesso. Insomma, il brand non ha voluto correre il rischio di intaccare la propria reputazione.

 

Questo tipo di “manovra” non è nuovo in Svezia; oltre alle caramelle, infatti, altri prodotti sono stati oggetto di accese polemiche per il loro presunto contenuto o significato razzista. Già nel 2012, il giornale Aftonbladet aveva riportato le critiche di un decimo delle biblioteche comunali svedesi che si rifiutavano di tenere in archivio il discusso fumetto “Rin Tin Tin in Congo”. Lo scorso novembre, inoltre, i grandi magazzini Ahlens hanno ritirato un catalogo in cui vi erano ritratti dei manichini dalla pelle scura e dalle labbra rosa carnose, di evidente etnia africana.

 

La ragione di tale attenzione, se così vogliamo definirla, non può che ritrovare le sue radici nell’impostazione culturale stessa della nazione (o, più in generale, della cultura scandinava). Un aiuto per formalizzare questo tipo di analisi arriva dagli indici culturali di Hofstede, ovvero un sistema a sei dimensioni in cui un valore può essere inserito e, in base al grado di rilevanza in ogni società, classificato in un certo punteggio che va da 0 a 120. Questi indicatori sono l’indice di distanza dal potere, mascolinità contro femminilità, individualismo contro collettivismo, orientamento a lungo termine contro orientamento a breve termine, indulgenza contro controllo, indice di rifiuto contro l’incertezza. Per quanto riguarda il caso svedese, l’indice con il risultato più interessante è sicuramente quello di mascolinità.

 

Senza tanto parafrasare la definizione di tale indice data sul sito ufficiale dell’Hofstede Center (www.geert-hofstede.com), rileviamo che “questa dimensione misura il livello di importanza dato da una cultura a valori maschili stereotipici come assertività, ambizione, potere e materialismo,nonché a valori femminili stereotipici come l’enfasi data alle relazioni umane.” Ebbene, in Svezia si registra un indice di mascolinità pari a 0 (il più basso in Europa!), il che indica palesemente la cura e l’attenzione della cultura della nazione verso tutte quelle dinamiche di interazione tra persone, che siano o meno della stessa etnia, e quindi tutti quei valori che implicano il rispetto, l’accettazione e l’accoglienza dell’ “altro”.

 

Che la decisione Haribo sia andata incontro alla richiesta dei consumatori è indubbio, ma sarebbe un errore generalizzare parlando proprio dell’intero gruppo. Le proteste, infatti, non sono che partite da una fetta –più sensibile a certi temi, ma pur sempre un insieme parziale.

Le reazioni della restante parte non si sono fatte attendere: oltre ad una dilagante incomprensione nei confronti del provvedimento, si è scatenata una certa ironia sul fatto che, seguendo il ragionamento avanzato dai consumatori politically correct, anche molte altre caramelle rappresentano un insulto razzista contro diverse etnie. Per esempio, lo stesso orsetto giallo che rappresenta il brand è stato additato come “offensivo” per il popolo cinese; ancora, le caramelle a forma di ciliegia (il cui formato è sempre a coppia) non sono che un messaggio subliminale sessista che richiama il seno turgido di una donna. E questi non sono solo che esempi dei commenti di chi, alla fine, ha deciso di prenderla poco sul serio.

 

In Italia la notizia è arrivata solo attraverso la stampa. I maggiori quotidiani hanno riportato qualche riga per commentare l’accaduto, mostrando nella maggior parte dei casi le immagini delle caramelle incriminate. Nessun riferimento è stato avanzato da Haribo Italia sui maggiori canali social, dove si è deciso di proseguire, come se nulla fosse, la normale campagna promozionale dei nuovi gusti in arrivo nel nostro Paese.

 

E pensare che il pacchetto di gommose “Skipper Mix” voleva essere proprio uno stimolo alla conoscenza di altre etnie. La storia infatti narra di un marinaio in giro per il mondo che colleziona ricchezze regalategli da tutti i popoli che ha incrociato sul suo cammino. La liquirizia infatti è stata sagomata a forma di monete, dobloni, gioielli e, appunto, maschere tribali provenienti da ogni angolo del pianeta; oggetti diametralmente opposti tra loro per origine, ma raccolti tutti insieme in un unico “forziere” di dolcezze. Guardando poi la faccia simpatica del marinaio che compare su ogni confezione, verrebbe difficile compararlo a un predone dei sette mari o peggio, a un conquistadores spagnolo alle prese con la mattanza di indigeni sudamericani. Il messaggio che sarebbe dovuto trapelare è decisamente diverso.

 

Per quanto, quindi, sia stata una soluzione commerciale non interpretata in modo positivo solo da un ristretto numero di utenti, Haribo ha deciso di difendere a tutti i costi la sua brand reputation. Speriamo adesso di non arrivare all’estremo opposto, con la totale perdita di controllo da parte dei brand in virtù del tanto (e di certo stimolante) orientamento bottom-up che può rischiare di declinarsi, in effetti, in una totale soggezione ad attacchi arbitrari da parte del mondo del web.

 

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Francesca Mastrovito. Laureanda presso la facoltà di Scienze Linguistiche dell'Università Cattolica di Milano, coltiva da sempre una grande passione per il mondo del food e per le sue diverse declinazioni mediatiche. Gestisce un foodblog personale che le permette di analizzare in prima linea la recente versione 2.0 di questo settore.

 

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