Spazi sensibili, nuova frontiera dell’Internal Branding
Internal Branding
Spazi sensibili, nuova frontiera dell’Internal Branding
09/11/2012

Gabriele Qualizza, Redattore Senior Brandforum.it
L’ambiente di lavoro come leva di business: per produrre di più. E meglio. Intervista a Maria Rosa Ambroso, titolare di Camaleonte, società di consulenza specializzata in space planning.

Lo spazio di lavoro come un’opera d’arte: un gioco senza regole, dove i materiali utilizzati si combinano in maniera originale e inaspettata, per esprimere i valori aziendali, facilitare le relazioni fra le persone e migliorare la produttività.


E’ la nuova prospettiva dello space planning, un approccio innovativo, da poco entrato nel linguaggio manageriale: l’idea è di collegare il progetto fisico degli oggetti (ambienti, arredi, reception, scrivanie) alla dimensione dell’intangibile (significati, tempi, relazioni), nella consapevolezza che le performance migliori scaturiscono da persone fortemente coinvolte e motivate .


Parliamo di questi temi con Maria Rosa Ambroso, titolare di Camaleonte, società di consulenza specializzata in space planning (http://www.camaleonte.eu), che si propone di trasformare lo spazio di lavoro in una leva strategica per l’implementazione delle scelte manageriali, costruendo un terreno fertile in cui le risorse umane trovino una naturale connotazione per esprimere il loro talento.


Maria Rosa Ambroso vanta un’importante esperienza professionale nell’arredamento d’ufficio, prima come progettista per Olivetti Synteshis, e successivamente con Steelcase, per la quale ha condotto su scala internazionale una serie di ricerche sulle modalità innovative di approccio al lavoro.

 

Camaleonte, la tua società di consulenza, si occupa di “space planning”. Che cosa significa questo termine? E in che cosa consiste l’attività dello space planner?
Non c’è nulla di trascendentale nell’attività di space planning: è un percorso che si fa da sempre in ogni spazio abitato. Pensiamo alle nostre case: parlano di noi, delle nostre abitudini, sono la fotografia di ciò che siamo e delle nostre aspirazioni. E’ un approccio a cui siamo abituati in tutti i contesti della nostra vita quotidiana: stranamente, non in azienda o in ufficio.


Proviamo a immaginare che cosa succederebbe, se le nostre case fossero fatte come le nostre aziende: ci staremmo così bene? Sarebbero il luogo di rifugio e di rigenerazione che di solito rappresentano? No, sarebbero dei refettori o dei dormitori: esattamente come le trattano i nostri figli adolescenti, quando sono in antitesi con i genitori. “Usano” l’ambiente domestico, ma non se ne sentono accolti, in quanto non si riconoscono più nei valori che questo rappresenta.

Il fatto è che i luoghi conservano e raccontano il nostro vissuto: anche piccoli dettagli architettonici, da cogliere al volo con la coda dell’occhio, possono suscitare emozioni e lasciare una traccia profonda nella memoria. Ce li portiamo dentro, perché sono intrisi del nostro quotidiano, perché sono associati ai momenti più semplici e più veri della nostra esistenza.


In maniera analoga, anche le aziende andrebbero “ripensate”: per essere vissute ed abitate come luoghi densi di significato, e non come semplici strutture funzionali. Faccio un esempio: in Riam, produttore di ascensori, ci siamo divertiti a giocare sulla comunicazione del prodotto, visto da sempre come un oggetto insignificante, usato per il trasporto verticale delle persone. L’abbiamo promosso a “Un metro quadrato di vita” e l’abbiamo inserito nella nostra vita quotidiana, ri-pensandolo attraverso gli stati d’animo di cui è protagonista impassibile: attesa, paura, baci rubati, imbarazzo, travestimento, stile. Ci siamo divertiti a scoprire per quanti di noi è stato un contenitore di emozioni…

 

Parli di emozioni, ma l’impressione è che a queste venga riconosciuto un ruolo abbastanza marginale in azienda. E’ possibile creare degli ambienti di lavoro più ricchi in termini di sollecitazioni sensoriali e più coinvolgenti dal punto di vista emozionale?
Fino a poco tempo fa si riteneva che i sentimenti dovessero essere lasciati fuori dal mondo organizzativo: oggi invece si comprende che le persone hanno bisogno di entrare nelle aziende con tutto il loro essere, solo così sono in grado di offrire il proprio contributo.


Perché le persone, quando non sono al lavoro, sono così diverse? Perché sono socievoli, impegnate, appassionate, felici e propositive? Perché vivono la dimensione che si sono scelte, perché hanno degli ideali, perché vivono in un ambiente comunitario, perché in sostanza riconoscono le loro radici e ne accolgono il valore distintivo, applicandolo alle loro esistenze.
 

Cercare di riprodurre nelle aziende questo microcosmo è un'impresa difficilissima, anche per la tipologia di aziende familiari tipiche del nostro Paese. Tuttavia, il compito dello space planner è proprio questo: analizzare l’organizzazione in cui è chiamato a intervenite, per dare risposta ai bisogni dell’impresa e delle persone che vi lavorano. Io faccio questo: attraverso lo spazio metto in comunicazione le persone e i sentimenti, la voglia di appartenere, di abbracciare un’idea, di esprimere il proprio potenziale nel lavoro.


In Pegaso, azienda che vende prodotti per il benessere delle persone, abbiamo ad esempio realizzato degli spazi in cui la sensorialità e la serenità delle persone vengono messi al centro di ogni scelta, valorizzando le scabrosità tattili delle superfici, offrendo alternative forme di accoglienza, proponendo modi di stare seduti e di relazionarsi diversi tra loro… Un insolito intervento di space plannng, che ha cambiato radicalmente l’atteggiamento delle persone interne ed esterne rispetto alla visione che avevano dell’azienda.

 

In che misura lo space planning ha a che fare con l’internal branding?
L’internal branding è uno degli scopi principali nel processo di space planning: contribuisce alla rappresentazione del sentimento aziendale, valorizzando il legame delle persone con i luoghi. Il punto di partenza è costituito dalle visioni e dagli obiettivi formulati da imprenditori e manager: lo space planner lavora su questi elementi immateriali, con l’obiettivo di renderli manifesti e tangibili attraverso i luoghi.


In tutto questo è fondamentale tenere sempre presente un riferimento di carattere etico, ossia la capacità degli spazi di rispondere ai bisogni delle persone, per non ridurre l’estetica a semplice cosmesi. Come diceva Adriano Olivetti, l’estetica deve andare a braccetto con l’etica del buon fare: un’azienda “bella”, nel senso più ampio del termine, deve essere espressione di perfezione dei processi, ma anche di benessere delle persone e di sintonia con obiettivi e valori condivisi.

 

Come si sviluppa un intervento di space planning in azienda?
Non lo vedo come un punto d’arrivo, ma piuttosto come un percorso di ricerca, che si alimenta grazie allo scambio tra il progettista e le persone che operano all’interno dell’azienda. Il risultato deriva dunque dal contributo e dell’impegno di tutti gli attori coinvolti.


Il mio iter progettuale prevede una prima fase in cui mi relaziono esclusivamente con i vertici aziendali, per poter capire e fissare obiettivi, modelli, tendenze. Dopo la stesura di un primo progetto, che sintetizza graficamente l’azienda nella sua prospettiva visionaria e il contributo che io posso mettere a disposizione, parlo con le persone che andranno ad abitare questi nuovi luoghi.


Non delego a nessuno questa incarico, che rappresenta la parte più impegnativa del mio lavoro. E’ un compito non facile: anche se vengo presentata a tutta l’organizzazione nel mio ruolo, sono spesso guardata con sospetto dai dipendenti, come colei che andrà a mettere in discussione legami, status, rapporti, gerarchie.


Tuttavia, per quanto il confronto sia difficile e a volte veramente ostico, alla fine il progetto che ne scaturisce è sempre migliore di quello che si sarebbe ottenuto senza questo passaggio: l’esperienza e il coinvolgimento delle persone risultano determinanti per la riuscita di un buon lavoro.
Questo approccio obliquo e non convenzionale è, a tutti gli effetti, una forma di internal branding: permette di scoprire delle persone diverse intorno a noi, che rivelano attitudini e risorse talvolta inaspettate.

 

Nell’era del 2.0, le nuove tecnologie ci mettono di fronte a sfide innovative. L’ufficio diventa mobile, distribuito, diffuso: una presenza ubiquitaria e pervasiva. Come interviene lo space planner in questo mutato contesto?
La sfida che manager e consulenti di organizzazione hanno davanti è disegnare ambienti che supportino la condivisione della cultura aziendale, creando spazi di interazione, che favoriscano la circolazione delle conoscenze, la collaborazione fra le diverse unità organizzative, la creazione di network nei quali le persone si relazionano e facendo insieme creano valore per sé e per l’organizzazione.


Possono essere spazi fisici, ma anche virtuali: la rivoluzione del web ci consegna un altro ampio corpo di “luoghi” che la persona può abitare. Blog, forum di discussione, aree wiki di scrittura condivisa, rappresentano nel loro insieme un’estensione del luogo fisico: non lo sostituiscono, ma lo integrano in una esperienza di organizzazione liquida (adattabile) nella quale la persona diviene invece solida (piena, presente).


In Medtronic, ad esempio, azienda apprezzatissima per la qualità dei propri prodotti e per il modo in cui fa ricerca, nonché punto di riferimento per l’innovazione in terapie afferenti l’area vascolare e non solo, ho seguito il progetto dei laboratori: qui abbiamo introdotto dei sistemi che rivelano il pensiero creativo e sinergico degli ingegneri attraverso un percorso ad hoc e mediante soluzioni tecnologiche che si prestano a “raccontare” i processi secondo la tecnica dello storytelling.

 

Spesso si citano come esempi gli “uffici-gioco” delle aziende operanti nella nuova economia (Google, Microsoft, Facebook, H-Farm): incubatori tecnologici, start up legate ai new media, ideatori di software e di soluzioni innovative per il web. Si tratta di contesti informali e creativi, con una struttura gerarchica ridotta al minimo, “abitati” da una popolazione aziendale giovane e dinamica: è possibile adottare soluzioni simili anche in altre situazioni, legate a business più tradizionali?
I cambiamenti epocali intervenuti in questi ultimi dieci anni hanno lasciato disorientate numerose aziende, che non riescono a scrollarsi di dosso modelli e stereotipi con cui sono nate e cresciute nel passato. Ecco quindi che assistiamo a uffici anonimi, con attrezzature che non servono a nulla, incapaci di testimoniare i sentimenti distintivi delle nostre aziende.


In realtà, siamo passati attraverso diverse tipologie di spazi: dalle scrivanie in batteria agli uffici dedicati, agli open space, alle hot desk, all’ufficio club, ma la tendenza che meglio interpreta e coniuga la persona con la flessibilità e l’innovazione richieste dall’attuale contesto economico e culturale sono degli spazi di relazione destrutturati, privi delle rigidità del passato, che spesso inibivano ogni forma di slancio creativo. Può sembrare paradossale, ma più il mondo del lavoro si fa complesso, più gli spazi di cui abbiamo bisogno si fanno semplici ed elementari.


Credo invece che applicare modelli astratti, ripresi da altri contesti, sia controproducente, in quanto ogni “organismo impresa” ha la sua storia, le sue persone, i suoi valori: l’importante è creare ambienti di lavoro che li rendano visibili e tangibili. Non architetture fantascientifiche, con scivoli, galeoni, stanze multisensoriali, ma piuttosto ambienti semplici, in grado di intercettare la personalità di chi vive in quei luoghi, ove risulti piacevole stare insieme e condividere i valori aziendali. Basta poco: al resto pensano le persone.

 

Quali ritorni concreti può attendersi un imprenditore dall’introduzione dello space planning in azienda?
Interpretare e riorganizzare le aziende utilizzando lo space planning è una bella scommessa. Numerosi studi provano la validità di questo approccio, in particolare per le ricadute positive che può avere in termini di produttività. Ma lo space planning permette anche di migliorare la qualità della comunicazione, di attrarre e trattenere i talenti, di incrementare la flessibilità, la creatività, l’efficacia e l’efficienza delle persone.


A differenza di altri metodi di supporto alle organizzazioni, lo space planning impatta infatti su chi lo promuove e su chi lo riceve, perché è in grado di attivare dei circoli virtuosi molto potenti, che mettono in sinergia la visione aziendale con i valori, le attese, le emozioni, i desideri, che le persone portano nel proprio ambiente di lavoro.

A cura di

Gabriele Qualizza

Redattore Senior

Ha collaborato con Brandforum dal 2005 al 2022

Ha lavorato in comunicazione per più di vent'anni, unendo l’interesse per il marketing alla passione per le immagini e per la scrittura. Un angolo prospettico particolare, che gli ha dato la possibilità di "raccontare" marche, processi organizzativi, storie di vita, sogni, passioni, desideri, estraendo le emozioni dai prodotti più diversi: navi da crociera, oggetti di design, stili di vita, home appliances, prodotti del fashion system...

Ha svolto altresì con immensa passione e dedizione attività di ricerca, didattica, consulenza e formazione manageriale, fino alla sua prematura scomparsa ai primi di ottobre 2022.

Si è occupato in particolare di retail marketing, consumer experience, generazioni digitali, approcci non convenzionali alla comunicazione d’impresa. Ha collaborato con l’Università di Trieste (come "assegnista") e con l’Università di Udine, presso la sede di Gorizia; faceva inoltre parte dell’Osservatorio Storytelling (Università di Pavia). Ha conseguito un dottorato di ricerca con tesi in Economia e gestione delle imprese, è stato titolare di alcuni assegni di ricerca (Udine, Roma “La Sapienza”) e ha ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale (seconda fascia) per il settore SECS-P/08.

Ha pubblicato Oltre lo shopping. I nuovi luoghi del consumo: percorsi, esplorazioni, progetti (2006), Transparent Factory. Quando gli spazi del lavoro fanno comunicazione (2010) e Facebook Generation. I “nativi digitali” tra linguaggi del consumo, mondi di marca e nuovi media (2013). E' inoltre autore di articoli e ricerche per le riviste Mercati e Competitività, Sinergie, Mediascapes Journal, Micro&Macro Marketing.

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