Rebecca Rabozzi, Redazione Brandforum.it
Ci stiamo ormai avvicinando a una nuova fase della pubblicità televisiva: il segreto per conquistare l’attenzione del pubblico non è più la scelta oculata di un volto famoso, bensì la capacità di suscitare emozioni nello spettatore mentre lo si intrattiene con uno spot.
1. Introduzione
Come evidenziato qualche tempo fa nell’excursus sull’advertainment dal 1999 a oggi a cura del Direttore di Brandforum.it, Patrizia Musso, ci stiamo ormai avvicinando a una nuova fase della pubblicità televisiva, caratterizzata da spot “senza storie che si rimandano da puntata in puntata, senza testimonial famosi. Solo persone comuni e frammenti di vita quotidiana, in cui ciascuno possa riconoscersi”.
Il segreto per conquistare l’attenzione del pubblico non è più la scelta oculata di un volto famoso, bensì la capacità di suscitare emozioni nello spettatore mentre lo si intrattiene con uno spot.
2. Testimonial sportivi durante le olimpiadi
Sebbene la figura del testimonial famoso sia in lento declino, una categoria che pare rimanere sempre una ‘scelta sicura’ per le aziende è quella degli sportivi. A maggior ragione, con i Giochi Olimpici alle porte.
A beneficiarne nell’immediato sono gli sponsor e partner ufficiali dell’evento: tra quelli del CONI e della nostra “Italian Team” ci sono Kinder+Sport, Armani, Fiat, Edison, Procter & Gamble e Samsung; questi ultimi due si aggiungono a quelli worldwide come Coca-Cola, Mc Donald’s, Adidas e Visa.
Sebbene – a differenza degli altri brand – gli sponsor siano autorizzati a utilizzare il logo a cinque cerchi o fare espliciti riferimenti a Londra nelle proprie campagne pubblicitarie, anche per loro vigono le ferree regole imposte dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO).
Sono infatti vietate durante il periodo olimpico pubblicità raffiguranti un atleta olimpico: possono andare on air soltanto prima o dopo i Giochi Olimpici, con assoluto ‘silenzio radio’ (stampa, TV e web) durante l’evento, pena il ritiro della medaglia per l’atleta-testimonial e multe salatissime per l’azienda.
Così come Armani non potrà più mostrare atleti olimpici come modelli di abbigliamento, le auto Fiat non saranno autorizzate a entrare nel parco olimpico e sui pack di Pavesini non dovranno comparire riferimenti alle Olimpiadi e nemmeno lo skyline di Londra.
Tra l’altro, vedremo ancora per poco lo spot di Pavesini con Federica Pellegrini e quello di Gillette (P&G) con Roger Federer; sono già state sospese le pubblicità di Kinder+Sport, sia nelle creatività tradizionali che nell’ultima versione “Lascia il segno” in cui si comunicava la possibilità di vincere un viaggio a Londra per ‘accompagnare’ Valentina Vezzali e Andrew Howe ai Giochi Olimpici.
Non sono più trasmessi nemmeno gli spot della campagna “I-RACE” di Sky, attraverso i quali questa primavera ci erano state raccontate le storie e i sogni olimpici di Aldo Montano, Carlotta Ferlito, Antonietta Di Martino, Luca Dotto e molti altri Azzurri in una campagna ad hoc, dedicata alla “televisione ufficiale delle Olimpiadi”.
La soluzione per aggirare il problema è parlare dell’evento, ma non dei suoi protagonisti.
Possono però essere scelti come testimonial sportivi che non facciano parte di questo “sogno olimpico”, ma che ugualmente siano degni di rappresentarlo nella mente degli spettatori.
Ad esempio, Samsung ha scelto David Beckham per promuovere il Galaxy Note. Il nome del capitano inglese, infatti, non compare tra i convocati per l’inusuale squadra che rappresenterà la Great Britain.
Nello spot lo vediamo comporre la melodia dell’Inno alla Gioia colpendo ripetutamente con dei palloni da calcio diversi tamburi appesi al muro. A opera finita, ovviamente, rimane spazio per condividere l’esperienza sui social network grazie allo smartphone pubblicizzato.
Caso del tutto italiano, quello di Edison, che ha scelto come testimonial l’atleta di una disciplina non olimpica quale è il rugby.
Il campione (anche di autoironia) Martin Castrogiovanni rappresenta l’incarnazione di tutti gli italiani, sportivi e non, che sognano di andare alle Olimpiadi.
L’atleta si intrufola in diverse squadre olimpiche, cimentandosi – goffamente – prima negli allenamenti di pallavolo, poi in quelli di ginnastica ritmica e – di recente – con il Settebello della pallanuoto. Tutte le creatività si concludono con questo messaggio: “Edison sostiene gli Azzurri che vanno alle olimpiadi. E quelli che ci vorrebbero andare”.
Questi fortunatissimi spot – in controtendenza rispetto all’advertainment più recente, vista la presenza di testimonial – stanno facendo sorridere (e intenerire) gli italiani davanti alla televisione e anche online.
In questo caso, si può parlare di una serialità pubblicitaria che si inserisce nel nuovo filone “emozionale” degli spot senza testimonial, stessa strategia di comunicazione scelta dal competitor di Edison, ENEL, per gli spot del 50° anniversario dell’azienda nata nel 1962, di cui parleremo nel prossimo paragrafo.
3. Spot per mamme e papà
In due delle tre creatività di ENEL Energia ci vengono raccontati i sacrifici di una mamma durante la gravidanza e quelli di un padre che rinuncia a tutto pur di far laureare il proprio figlio. Al culmine della tensione emotiva, ecco comparire una domanda: “Quanta energia c’è in un attimo?”.
La risposta è anche il claim dello spot: “Milioni di attimi insieme”.
Forse i filmati non sono del tutto convincenti, forse sono troppo lontani dalle precedenti campagne istituzionali (“Il futuro è un viaggo all’infinito. Facciamolo insieme” del 2010 e “Sono i vostri sogni a darci energia” del 2011), ma risultano certamente toccanti.
Al momento, leader indiscusso, tra gli spot istituzionali dedicati alla famiglia, è Procter & Gamble con una serie di storie intrecciate dedicate a tutte le mamme. Il filmato originale ("Best job"), della durata di due minuti, è stato diffuso attraverso i social network, mentre in televisione vengono trasmesse versioni riadattate in diversi tagli.
Lo spot, girato dal regista messicano Alejandro González Iñárritu, è privo di parole (a volte, solo sottotitolato) e guidato dalle note del brano “Divenire” del compositore Ludovico Einaudi.
Lo spot mette in scena quattro madri che, nei quattro angoli del pianeta (Londra, Rio De Janeiro, Los Angeles, Pechino), accompagnano i loro bimbi, giorno dopo giorno, fatica dopo fatica, al successo olimpico. È un capolavoro: per fotografia, ritmo, sintesi narrativa, crescendo musical-emotivo. E per mille altre ragioni. Ma soprattutto perché è un congegno perfetto per far piangere. Tutti, mica solo le madri. (O almeno, tutti quelli che di solito piangono davanti ai film.) – cit. Giovanna Cosenza
Una chiara e semplice verità conclude ogni spot e rimane impressa nella mente degli spettatori: “Il lavoro più impegnativo al mondo è anche il migliore al mondo. Grazie di cuore, mamma”.
La campagna esalta tutte le mamme degli atleti olimpici, che hanno compiuto sacrifici per accompagnare i propri figli fino al traguardo. Ma allo stesso tempo è un omaggio a tutte le mamme del mondo, (potenziali) consumatrici di tutti i prodotti P&G. L’azienda, infatti, si dichiara “fiera di sostenere tutte le mamme”.
Per cavalcare il successo di questa campagna ‘materna’ (soprattutto sul web) e per non dimenticare tutti i papà che hanno a loro volta sostenuto i propri figli-atleti, P&G ha girato anche uno 30 secondi ‘da uomini’ ("Here's to dad") per il marchio Gillette.
Diffuso solo in alcuni Paesi e con un breve flight in occasione della festa del papà (celebrata la seconda domenica di giugno), lo spot mostra i tre sportivi, già testimonial di singole creatività del brand Gillette – Tyson Gay, Ryan Lochte e Roger Federer – che raccontano il rapporto vissuto con i propri padri durante la costruzione della propria carriera sportiva.
Le immagini mostrano gli allenamenti dei tre atleti ormai adulti, mentre il voice over dedica i momenti a “The man who coached me. Yelled at me. Supported me. The man who cheered me on. Slapped me on the back. Who stood by me. To the man who made me the man I am today” (L’uomo che mi ha allenato, che mi ha urlato contro, che mi ha supportato. L’uomo che ha tifato per me, che mi ha dato una pacca sulla spalla, che mi è stato accanto. All’uomo che mi ha fatto diventare l’uomo che sono oggi). In una parola, al “papà”.
Ma questo spot ‘paterno’ non è un caso isolato.
Anche lo spot di Google+ per promuovere la funzione “caricamento istantaneo” delle fotografie è giocato interamente sulle emozioni suscitate nel cuore dei (neo)papà, evidentemente il target di riferimento del social network.
Ed è proprio un voice over maschile, un papà appunto, a emozionare gli spettatori con la propria storia per un intero minuto:
Niente mi ha reso più felice che diventare padre.
Quando abbiamo portato il piccolo a casa, non riuscivo a smettere di fotografarlo.
Persino mia moglie mi diceva: "Ehi, fai una pausa!"
Ma sapete com'è: non volevo perdere nemmeno un istante.
Eppure una cosa sono riuscito a perderla: il telefonino, sul sedile di un taxi.
Del telefono chi se ne importa: ne ho persi tanti!
Ma in questo caso era diverso: le foto di mio figlio le avevo scattate tutte proprio con quel telefonino e ora non c'erano più.
Ma poi mi sono reso conto che, invece, non le avevo affatto perse: c'erano ancora tutte, dalla prima all'ultima.
Lo spot si conclude con scritte in sovraimpressione: “Tutte le foto, salvate all’istante. Questo è un Plus. Google+”.
Un’altra campagna dedicata ai papà è quella di Volkswagen Polo, che – in un filmato di un minuto e mezzo – racconta tutta la vita di “padre e figlia”, dal giorno in cui la porta a casa dall’ospedale fino al momento in cui la figlia lascia la casa dei genitori.
Alla fine dello spot viene descritto proprio il commovente momento di congedo dalla figlia, durante il quale il padre le consegna le chiavi della Polo. Mentre la guarda allontanarsi a bordo dell’auto, la scritta in sovraimpressione (gli) assicura che la figlia sarà “in buone mani”. Allo stesso modo, tutti i padri davanti allo schermo – che si erano immedesimati nel padre dello spot – vengono emotivamente persuasi e convinti della sicurezza e dell’affidabilità di un autoveicolo, definito “piccolo, ma tosto”.
4. Conclusioni
Questa fase di “advertainment emozionale” è caratterizzata da spot di lunga durata: difficile, infatti, commuovere gli spettatori solo in pochi secondi. Di fatto, però, la strategia risulta vincente per tutti i brand: il nome della marca o del prodotto compare proprio al culmine del momento emotivo, quando il pubblico è ormai rimasto incantato davanti al piccolo schermo, si è lasciato coinvolgere e intrattenere dal filmato pubblicitario. Il ricordo del brand è quindi assicurato dall’intensità emotiva del momento, che porta lo spettatore all’apice dell’attenzione e della recettività.
La chiave del successo di questi spot è la facilità di identificazione con i protagonisti: la maggior parte del pubblico televisivo è una mamma o un papà, o – per fascia d’età – è prossimo a diventarlo.
Identificarsi con racconti di vita quotidiana (es. preparare la colazione al figlio, lavare i panni, scattare le foto al figlio appena nato, andare a prendere la figlia all’uscita della discoteca…) è così naturale da rendere piacevole intrattenersi davanti allo schermo.
La marca non parla più di se stessa, non impone la propria presenza, né racconta storie di mamme e papà che utilizzano il tal prodotto e lo presentano come il migliore sul mercato.
Le storie raccontate sono spaccati di vita di persone comuni, che non necessariamente utilizzano i prodotti di questo o quel brand. Identificarsi con loro è quindi estremamente facile.
Di conseguenza, nelle speranze delle aziende, dovrebbe essere altrettanto facile avvicinarsi ai prodotti con quel marchio, spontaneamente, soltanto sulla scia del ricordo delle emozioni suscitate dalla visione dello spot.
Bisogna comunque tener conto che per conquistare lo spettatore e le sue emozioni è fondamentale rinnovarsi e rinnovare la creatività pubblicitaria.
È già un primo segnale di pericolo la debolezza dello spot "Kids" (e la consguente polemica online sulla stereotipizzazione dei ruoli sociali), capitolo successivo della campagna di P&G dedicata alle mamme, girato dal regista Daniel Kleinman.
Sono stati coinvolti quasi trecento bambini, che si mostrano impegnati in diversi eventi olimpici come i veri campioni “adulti”… che “agli occhi delle loro mamme saranno sempre bambini” (così recita il claim).
Lo spot intende riprendere una campagna americana dedicata alle Olimpiadi Invernali del 2010. Purtroppo il rimando funziona solo per il pubblico degli States e, forse, per qualche attento appassionato della Rete.
Lo spot, già debole in sé, a confronto con «The Best Job» sparisce del tutto: non c’è tensione emotiva, non c’è trasformazione di cose né personaggi, non accade un bel nulla. Non c’è storia insomma e per giunta, avendo già visto il primo, ci aspettiamo dall’inizio che da qualche parte prima o poi spunti una madre. Che infatti puntualmente appare, un secondo prima del claim. Potevano risparmiarsi i 245 bambini, il regista e tutti i costi di produzione: se immagini una transizione in dissolvenza da un atleta adulto a un bimbo o viceversa, l’effetto estetico è diverso ma il concetto è quello. – Cit. Giovanna Cosenza
C’è quindi da chiedersi se questi lunghi spot “emozionali” sopravvivranno alla volubilità degli spettatori e alla stagionalità televisiva, arrivando a scaldare i nostri cuori anche in inverno, o se invece il pubblico avrà già perso interesse per queste piccole ed efficaci storie brandizzate a lieto fine.
Non ci sono invece dubbi che quest’autunno, sull’onda del successo olimpico, in molti spot televisivi vedremo atleti medagliati e ci verrà raccontato che quel risultato è stato ottenuto grazie a chissà quale prodigioso prodotto alimentare o di bellezza.
Rimangono quindi ‘osservati speciali’ tutti quei brand che già avevano scelto uno sportivo come testimonial e non è da escludere che anche altre aziende possano scegliere volti di (nuovi) sportivi per portare al successo i propri prodotti.