Cosa è cambiato dal 2013 quando Patrizia Musso ha scritto la prima edizione del suo libro, intitolato “Slow Brand”? Allora, l’idea di ripensare in chiave slow tutti gli strumenti della comunicazione, in un mondo orientato principalmente alla velocità, anche a causa della rivoluzione digitale, sembrava ardita se non paradossale. A distanza di qualche anno, questa […]
Cosa è cambiato dal 2013 quando Patrizia Musso ha scritto la prima edizione del suo libro, intitolato “Slow Brand”? Allora, l’idea di ripensare in chiave slow tutti gli strumenti della comunicazione, in un mondo orientato principalmente alla velocità, anche a causa della rivoluzione digitale, sembrava ardita se non paradossale.
A distanza di qualche anno, questa proposta appare più viva che mai, e si sta realizzando, in forme diverse, anche in numerose aziende italiane, trovando applicazione sia nella brand reputation, sia nelle dinamiche organizzative bottom-up, sia nell’idea stessa di sostenibilità, finendo per coinvolgere l’advertising, il retail, gli stessi principi di Corporate Social Responsibility.
D’altra parte, la filosofia “slow” significa sostanzialmente, “prendere fiato”, rallentare per poter meglio riconoscere e dare importanza ai valori forti e ai contenuti più significativi di un’impresa, in una dimensione più “pensata” e più a misura d’uomo, riuscendo a coinvolgere in questa azione dipendenti e consumatori.