Conciliare Profitto e Sviluppo conciliando Famiglia e Lavoro
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Conciliare Profitto e Sviluppo conciliando Famiglia e Lavoro
02/10/2012

Marco Beretta, Project Manager Conciliazione in AXIA, Guest di Brandforum.it
Orari di lavoro flessibili e permessi agevolati: per chi deve gestire momenti delicati del ciclo di vita dei propri familiari sono ormai una pratica consolidata, almeno nelle grosse aziende. Ma sono sufficienti per sgravare dipendenti e collaboratori dagli oneri familiari dei quali si debbono far carico?

Orari di lavoro flessibili e permessi agevolati per i lavoratori e le lavoratrici che devono gestire i momenti delicati del ciclo di vita dei propri familiari sono ormai una pratica consolidata, per lo meno nelle grosse aziende.

 

Posticipare l’orario di ingresso per avere il tempo di accompagnare il figlio dall’asilo, oppure assentarsi mezza giornata perché la madre anziana e non completamente autosufficiente ha un appuntamento dal medico sono necessità di molti lavoratori, alle quali l’organizzazione aziendale da una parte, e la legislazione dall’altra (si pensi alla legge 104/92), hanno saputo dare un’efficace risposta.


Ma è veramente sufficiente “entrare dopo” o “uscire prima” per sgravare dipendenti e collaboratori dagli oneri familiari dei quali si debbono far carico? 

 

 

Fino a pochi anni fa si parlava del doppio ruolo delle donne: lavoratrici in azienda e al tempo stesso mogli-madri a casa. Oggi lo scenario è più complesso. Un po’ spinti dalle rivendicazioni femministe, un po’ per presa di coscienza da parte dei nuovi padri-mariti, il doppio ruolo non è più solo una prerogativa femminile. Inoltre, l’allungamento dell’aspettativa di vita e il conseguente bisogno di cure da parte della generazione precedente ci porta a dover correggere necessariamente il tiro. Non possiamo più parlare solo del doppio ruolo delle donne: occorre chiarire che la questione odierna è quella dei molteplici ruoli rivestiti dalle persone attive sul mercato del lavoro.


L’essere lavoratori e contemporaneamente partner, genitori e ancora figli di persone ormai anziane, genera una vasta serie di aspettative cui donne e uomini attivi sul mercato sono chiamati a rispondere. Far combaciare tutti questi aspetti, senza poi sacrificare del tutto il tempo libero (da dedicare a se stessi, alle proprie passioni o – non ultime – ad attività di volontariato) non è semplice, ma soprattutto può generare effetti controproducenti, specie sul versante aziendale.


Un dipendente si porta sul posto di lavoro la preoccupazione di non sapere a chi affidare l’anziano genitore reso invalido dopo la rottura del femore: un altro guarda con ansia il calendario perché a breve ricomincerà l’asilo nido e deve sperare che qualcuno rinunci perché sua figlia è la prima della lista d’attesa e non ha trovato altre alternative. Un altro dipendente pur avendo trovato all’ultimo minuto l’universitaria ventenne come babysitter per il figlio di sei anni nel giorno di assemblea sindacale degli insegnanti, inizia a domandarsi se questa stia veramente assolvendo il suo compito o se sia indaffarata con la chat di Facebook sul proprio smartphone mentre il bambino si prepara un cocktail con i detersivi dell’armadietto sotto il lavandino…


Tutti questi esempi danno un’idea di quanto un problema di conflitto tra ruoli – quelli professionali e quelli familiari – possa impattare in maniera negativa sulla performance dei dipendenti e dei collaboratori: un lavoratore preoccupato per la situazione dei familiari a suo carico (dal punto di vista della cura) difficilmente riuscirà a dare il meglio di sé. E il più delle volte non bastano gli orari flessibili per risolvere queste difficoltà.


Ecco allora che le prassi e gli strumenti di Conciliazione famiglia-lavoro si configurano come una possibile soluzione. Occorre però ripensarne strutturazione e destinatari: devono essere rivolti non più al solo dipendente, ma devono poter essere fruibili direttamente anche dai loro familiari.


Pensare però che un’azienda possa sostenere i costi di un simile apparato (asili nido, babysitter, assistenti domiciliari, operatori sanitari…) per le famiglie di tutti i propri dipendenti e collaboratori, sarebbe certo una forzatura e un’utopia. In realtà, la prima grande risorsa che le politiche e le prassi di Conciliazione devono rivalutare è quella del tempo. Trovare una badante o una babysitter, incontrarla, valutarla, informarsi sulle sue effettive competenze ed esperienze richiede una gran quantità di tempo. Una quantità ben superiore a quella reperibile uscendo un’ora prima dall’ufficio.

La soluzione più utilizzata per ovviare a questo problema è di solito ricorrere alla segnalazione di un parente, un amico, un vicino: avendo essi già avuto modo di usufruire delle prestazioni della figura che si sta cercando, questi raccomandano (nel senso positivo del termine) una certa persona e ne sconsigliano un’altra. Ma che succede quando nella propria rete di contatti nessuno ha incontrato la persona giusta? O quando un lavoratore ha un’esigenza di questo tipo ma si è appena trasferito, proprio per il lavoro, e non ha ancora creato una rete di relazioni sufficientemente solide per potersi fidare delle valutazioni altrui? O semplicemente quando si vogliono avere più alternative tra cui scegliere?
 

È questo il vero bisogno cui le politiche di Conciliazione delle Aziende devono riuscire a offrire delle risposte. La soluzione non è poi così complicata: è la possibilità che l’Azienda offra ai propri dipendenti una serie di strutture e di figure professionali qualificate nell’erogazione dei servizi necessari ai lavoratori e ai loro familiari. Tutto ciò senza la necessità che l’Azienda si faccia carico dell’intero onere economico di un simile sistema: si andrebbe ben oltre il welfare state aziendale, creando un vero e proprio welfare state parallelo!


Per un’Azienda sarebbe sufficiente limitarsi a offrire ai propri dipendenti un network di fornitori dei servizi sopra indicati, accreditati presso gli enti preposti e certificati da soggetti altrettanto qualificati. Per il lavoratore, infatti, sapere chi e come contattare nel momento della necessità – e soprattutto non avere preoccupazioni sulla qualità e professionalità del servizio erogato – è sicuramente la più convincente delle rassicurazioni. E un lavoratore sereno è certamente in grado di offrire performance migliori alla propria Azienda. Qualora poi ne abbia possibilità, l’Azienda potrà anche decidere quanto contribuire e per quali servizi garantire una parte (o la totalità!) del costo.


Oltre al miglioramento delle performance, nel novero dei risvolti positivi va considerato anche il senso di affiliazione all’Azienda, dovuto alla riconoscenza che si diffonderà tra la forza lavoro, grata di poter usufruire di un simile sistema di benefit. Non ultimi i conseguenti ritorni in termini di visibilità e notorietà, a seguito dell’immagine di “Azienda illuminata” che gli stessi dipendenti contribuiranno per primi a diffondere, rendendo il posto dove lavorano una meta ambita e desiderabile.
Un simile sistema può essere strutturato a patto che si tengano in considerazione tre requisiti.


Innanzitutto, la presa di coscienza, da parte dell’Azienda, che le prassi di Conciliazione non sono una premura paternalistica, bensì un vero e proprio investimento che genera valore (nei termini già menzionati di performance, immagine e Responsabilità Sociale dell’Impresa) e, quindi, un ritorno economico. Per questo motivo le buone pratiche di Conciliazione devono essere inserite a pieno titolo nei sistemi di Compensation & Benefit dell’Azienda.


In secondo luogo, la strutturazione di un sistema di servizi ben articolato rispetto alle diverse esigenze dei differenti fruitori finali. Devono infatti essere coperti i bisogni di tutte le generazioni coinvolte: il lavoratore e il suo partner, i figli e i genitori. L’Azienda necessiterà quindi una fase preliminare di confronto con le proprie risorse umane, al fine di mettere a disposizione servizi che effettivamente verranno utilizzati, evitando invece lo spreco di servizi ambitissimi, ma che nella realtà non verranno mai utilizzati (si pensi ad alcuni nidi aziendali clamorosamente sottoutilizzati rispetto alle aspettative).


Infine i servizi individuati dovranno essere erogati da fornitori qualificati, auspicabilmente già attivi e specializzati nel fornire determinate prestazioni, e soprattutto geograficamente vicini non solo all’Azienda, ma in particolare all’area di provenienza della forza lavoro. Un asilo nido gestito da una società costituitasi hic et nunc per risolvere la necessità espressa dall’Azienda e situato a pochi metri dalla stessa, difficilmente avrà più successo di una rete di asili nidi convenzionati, già presenti sul mercato da anni e dislocati nei comuni di residenza dei lavoratori (o nelle loro immediate vicinanze).


Un sistema che poggia le proprie basi su questi assunti, la cui gestione sia sufficientemente snella dal punto di vista amministrativo e procedurale, segue e sviluppa una vera e propria strategia win-win, che genera valore per tutte le parti coinvolte: i lavoratori, che vedono risolti i loro conflitti di ruolo; l’Azienda, che risente positivamente delle migliori performance dei dipendenti e dei ritorni in termini di immagine e percezione sociale; il territorio, grazie all’indotto generato dalle prestazioni richieste ai fornitori.


Alla luce di ciò, Conciliare famiglia e lavoro si configura, a livello macro, come una possibile via per conciliare sviluppo e sostenibilità. È fondamentale quindi che lo Stato e gli Enti Locali, nonché le Associazioni di Categoria, proseguano nel favorire e incentivare il ricorso a pratiche di questo tipo.

 


 

A cura di

Marco Beretta

Project Manager Conciliazione in AXIA
 

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