Patrizia Musso, Founder&Director, brandforum.it
Da recenti ricerche nazionali e internazionali sui più efficaci stili di Leadership e dal confronto diretto con alcuni manager di spicco, abbiamo selezionato i tratti del “boss ideale” che i giovani sperano di incontrare nei loro luoghi di lavoro.
(Credits Ph di copertina: opera C-DUU, 2011 – Acciaio – di Umberto Cavenago)
Quanto contano gli stili di leadership che contraddistinguono la singola organizzazione nel reclutare e trattenere un giovane talento? Quanto pesano i valori del brand e la dimensione comunicativa (oltre alla classica leva della carriera)? Quali sono i fattori di scelta del luogo di lavoro per i giovani d’oggi? Questi alcuni dei quesiti che hanno contraddistinto la 5a edizione di Slow Brand Festival, condotto con la partecipazione di illustri ospiti che hanno dato anche una personale testimonianza sui più efficaci stili di leadership odierni.
Il confronto si inserisce all’interno di un tema che Brandforum considera chiave da tempo: le strategie di Employer Branding da adottare con le nuove generazioni che si apprestano a entrare nel mondo del lavoro. Recruiting, ma soprattutto Retention stanno diventando per molti brand momenti sempre più sfidanti all’interno di un contesto lavorativo complesso e multiforme.
Con Maria Luisa Bionda, Founder di 2B Research e docente di Analisi dei consumi presso l’Università Cattolica di Milano, abbiamo delineato alcuni elementi di questo scenario e degli stili di leadership vincenti attraverso una prima indagine quanti-qualitativa svolta con la collaborazione di un gruppo di 100 studenti della sede milanese di questa Università, di età compresa fra i 19 e i 30 anni (che verrà ampliata con un campione più consistente nel corso del prossimo autunno).
Accanto ad alcuni fattori legati allo Smart working e al Welfare aziendale, sono emerse dall’indagine di 2B Research anche i tratti vincenti degli stili di leadership contemporanei, una sorta di ricetta del boss ideale capace anche di influenzare le scelte del luogo di lavoro da parte dei giovani. In particolare, come ci ha raccontato Bionda “Il prototipo del manager emerso dalla nostra ricerca è quello di una persona competente (aspetto ritenuto fondamentale – valore top 3 – dal 79% del campione) e con attenzione all’aspetto umano (valore top pari al 29% e nella top 3 per il 66% del campione). Determinazione, capacità di agire in base a ideali e adesione ai valori del brand rappresentano dei plus valori (non prioritari in senso assoluto) ma ricercati fra le tre caratteristiche fondamentali di un manager”. Si delinea così il profilo di un “capo dei sogni” capace di ascoltare i propri collaboratori e di guidarli tra dinamiche fast e slow. In effetti, di fronte agli attuali mercati ad alta velocità, i leader si trovano a gestire un paradosso: prendere decisioni velocemente, ma allo stesso tempo riflettere e tenere conto di diversi punti di vista, anche attraverso momenti di condivisione e coinvolgimento dei collaboratori – azioni che richiedono necessariamente del tempo, oltre ad elevate doti di empatia e comunicazione.
I boss contemporanei, quelli che da tempo chiamiamo Slow Boss, nuova etichetta degli stili di leadership delle organizzazioni odierne, devono essere grandi stimolatori di creatività, forti motivatori del personale (più che solo controllori e aggregatori di potere). I giovani sognano di lavorare con dei leader con queste caratteristiche, ma allo stesso modo temono siano solo il frutto di riflessioni teoriche e che non ne esistano realmente nelle aziende.
A partire da queste premesse, abbiamo da un lato riletto gli esiti di alcune recenti indagini internazionali condotte sui temi degli stili di leadership e della cultura manageriale, dall’altro abbiamo avviato un confronto con pratiche dove queste teorie vengono realmente attivate.
Uno studio pubblicato a marzo 2019 dell’Harvard Business Review basato su interviste a 4100 dipendenti per indagare gli stili di leadership vincenti, focalizza l’attenzione sulla figura del “leader inclusivo”: “Companies increasingly rely on diverse, multidisciplinary teams that combine the collective capabilities of women and men, people of different cultural heritage, and younger and older workers. But simply throwing a mix of people together doesn’t guarantee high performance”.
Ecco allora i 6 fattori chiave del leader inclusivo, elaborati da questa indagine a partire da 17 diversi set di comportamento rilevati:
Autenticità, fiducia, coraggio, ascolto, condivisione sono alcuni dei fattori emergenti da questo quadro. Secondo questa ricerca internazionale esistono chiari collegamenti fra questi fattori che caratterizzano uno fra gli stili di leadership possibili e l’aumento di performance dei gruppi di lavoro: “Teams with inclusive leaders are 17% more likely to report that they are high performing, 20% more likely to say they make high-quality decisions, and 29% more likely to report behaving collaboratively”. Un miglioramento del 10% nella percezione dell’inclusione comporta, inoltre, un aumento della frequenza lavorativa di quasi 1 giorno all’anno per dipendente, riducendo così l’assenteismo e i costi connessi.
A questa teoria fa eco e, insieme quasi da contraltare, il “modello UnBoss” ideato nel lontano 2012 da due danesi (nella foto): l’imprenditore Lars Kolind e il “digital native thinker and strategist” Jacob Bøtter.
I due autori, in pratica, fanno esplodere all’ennesima potenza il concetto di collaborazione, annullando il ruolo del boss in virtù di una maggiore presa di responsabilità dei dipendenti. È possibile rileggere nella teoria dei due promotori anche alcuni elementi che ricordano l’approccio da Slow brand come: mettere lo “scopo prima del profitto”, attivare un rapporto non solo commerciale con i propri clienti ma più di partenariato, pensare a come contribuire al benessere della società a 360°. Ritroviamo, inoltre, anche dimensioni legate alla figura dello Slow Boss e alle sue doti comunicative: come scrivono Kolind e Bøtter, “Bosses work with power, unbosses with values”. Non ha senso basare il ruolo dell’UnBoss sul potere, regole e controlli rigorosi, ma è fondamentale far leva sui valori (aziendali e personali) che rappresenta, fornendo così ai propri collaboratori ulteriori elementi per costruire rapporti lavorativi basati su rispetto e fiducia reciproca. Entrambi fattori che servono per nutrire e coltivare la dimensione collaborativa dei dipendenti.
Rimanendo focalizzati sull’aspetto dell’organizzazione senza capo, troviamo due interessanti esempi di stile di leadership che rende evidente il passaggio dal telling al doing, con successo.
Il primo è rappresentato dal brand svizzero Freitag, produttore di borse ricavate da teloni di camion riciclati. Dal 2016 l’organizzazione è composta da 200 persone che si regolano da sole, senza capi e gerarchie, ponendosi obiettivi fissati di comune accordo.
Per non farsi trarre in inganno dalla facile applicazione del modello UnBoss visto il numero limitato delle risorse di questa azienda, è interessante citare anche l’esempio dell’azienda farmaceutica Novartis, che ha oggi circa 120.000 impiegati, di cui il 50% sono Millennials. In una delicata fase di riposizionamento del brand è stato applicato il modello UnBoss, dove l’autonomia viene utilizzata per aumentare la responsabilità dei dipendenti, sviluppare il loro potenziale in ottica di innovazione, consolidare il senso di appartenenza all’azienda. Online sono recuperabili diverse interviste rilasciate nel corso del 2019 dal Ceo Vas Narasimhan sul tema How to be a boss in an ‘unbossed’ company dove emergono interessanti fattori in linea con le teorie suddette. In particolare, racconta di aver mantenuto tutti i 360 direttori generali e i quadri intermedi, costituiti da circa 15.000 persone, chiedendo solo di modificare il loro atteggiamento attraverso un reale ascolto e azioni in ottica bottom-up per un effettivo coinvolgimento dei dipendenti. Un punto questo sull’applicazione della teoria dell’UnBoss che si ricollega allo studio pubblicato dall’Harvard Business Review sul Leader Inclusivo che deve garantire “that all team members feel they are treated respectfully and fairly, are valued and sense that they belong, and are confident and inspired”.
Dai due esempi internazionali si evince come anche la leva della comunicazione – intesa proprio nella sua forma di dialogo e di condivisione – sia vincente per gestire al meglio l’organizzazione contemporanea, a vari livelli e in diversi ambiti. Il tutto senza dimenticare il tessuto valoriale del brand.
Abbiamo visto come da una parte il leader odierno debba agevolare la collaborazione dei propri dipendenti quasi al punto da annullarsi, favorendo l’appiattimento gerarchico in stile UnBoss. Dall’altra, deve sviluppare sempre più le sue doti di motivatore di creatività del gruppo di lavoro, mostrando doti di ascolto e di “guida trasparente”.
Al di là delle differenti etichette che definiscono i più recenti stili di leadership capaci di mettere a fuoco variabili complesse (cfr. anche concetto di Leadership al plurale ) appare centrale il concetto di leadership come relazione, che si può concretizzare attraverso diverse ricette vincenti.
Ne abbiamo parlato con Giuseppe Del Duca che ha maturato un’elevata esperienza in campo manageriale a livello nazionale e internazionale, arrivando a gestire in Ferrero Industriale Italia oltre 4.000 persone: “… possiamo rileggere la complessità della cultura manageriale odierna attraverso due emblematici esempi di direzione d’orchestra. Da una parte lo stile tradizionale, fermo ed egemonico di Herbert von Karajan; dall’altro il format dell’Orpheus Chamber Orchestra, vincitrice di diversi Grammy Award, diventata famosa per i suoi 30 orchestrali che dal 1972 interpretano magistralmente la partitura senza direttore, autogestendosi tramite una leadership situazionale, collegata alle singole competenze (ndr nel marzo 2007, Orpheus è diventato uno dei primi vincitori del Worldwide Award per I luoghi di Lavoro più Democratici). Entrambi gli stili di leadership sono risultati funzionali, in ambienti e periodi storici diversi”.
“Quando si parla di contesti industriali – continua Del Duca – le variabili in gioco sono molteplici ed è difficile disegnare un unico stile di leadership vincente. Una managerialità efficace deve, innanzitutto, adattarsi di continuo ai diversi contesti, interlocutori, situazioni e livelli di complessità. Ritengo comunque che una forma di leadership aperta, dove la relazione e la comunicazione di qualità siano concretamente messe in pratica (in una logica dal telling al doing), possa risultare efficace in diversi ambienti organizzativi. Sulla base della mia esperienza, ci sono almeno 4 fattori imprescindibili per costruire un’efficace leadership:
1. Una comunicazione a 360° con il team: ritengo fondamentale attivare scambi dialogici, di idee, pensieri in una cornice di rispetto e reciproco interesse, anche per sviluppare la percezione di un reale senso di collaborazione. Ecco perché credo fortemente nell’attivazione di momenti (es. eventi aziendali fuori sede) e di scambi informali (non solo meeting programmati) che danno vita a brainstorming liberi, ampi, gestiti con uno stile che genera una reale possibilità di espressione.
2. Il reale empowerment delle persone: quando si decide che “non si deve fare tutto da sé”, entra in gioco un efficace meccanismo di delega verso i membri del team, ci si libera dalle condizioni del “non ho tempo”, “ho una riunione dietro l’altra”. Per donare fluidità di funzionamento all’organizzazione e permettere di generare costantemente valore in un percorso continuo di miglioramento e sviluppo, è necessario valorizzare al massimo il contributo esprimibile dalla singola persona ai vari livelli. Questo si può realizzare attraverso una vera responsabilizzazione delle persone e un effettivo meccanismo di delega che scenda in profondità nell’organizzazione, in modo capillare. Così facendo, i collaboratori crescono professionalmente, vengono motivati dalla consapevolezza dell’autonomia lavorativa e si genera una reale ed efficace ripartizione delle responsabilità e dei relativi carichi di lavoro, con la conseguente generazione di tempo. Insomma, un circuito virtuoso dalle fortissime potenzialità, con le dovute e necessarie forme di controllo calibrate in logica di management situazionale. Per rendere ancora più concreto questo approccio ai collaboratori mi ritrovo a considerare non corretto il concetto, a volte diffuso, di “proprietà dei collaboratori”. Le persone “non sono del capo”. Normalmente, ove possibile e nei tempi corretti, sono favorevole alla rotazione delle risorse in quanto orientato al cambiamento; il cambio di ruolo rappresenta generalmente una grande opportunità di crescita professionale, anche se per l’organizzazione si rende necessaria una fase di transizione e consolidamento. La sostituzione di un collaboratore è sempre un momento delicato per la funzione/ruolo ricoperto all’interno della struttura aziendale; d’altro canto, una nuova persona nel team può aprire a diverse possibilità. Il collaboratore che arriva porta novità, un diverso profilo professionale e un nuovo modo di vedere le cose ed interagire con il contesto.
3. Una sana dimensione del divertimento all’interno del mondo lavorativo: ricollegandomi alle dinamiche slow, credo nella sana dimensione del divertimento e, nonostante se ne parli spesso, la sensazione è che non venga sempre praticata nella routine lavorativa. Ovviamente il lavoro non è un gioco, ma credo sia sempre possibile ricercare delle forme di “alleggerimento” del contesto attraverso comportamenti che favoriscano la creazione di un clima disteso e sereno in cui tutti possano sentirsi a proprio agio. Insomma, la battuta e anche la provocazione libere per generare sorrisi e un po’ di rilassamento.
4. Un corretto approccio allo Slow work: tanti manager nelle organizzazioni sono spesso iper-impegnati. Penso sia necessario sapersi ritagliare degli spazi e quindi approcciarsi veramente ad uno stile in chiave slow work. Per far questo diventa estremamente importante saper gestire il tempo, come attitudine personale da calare poi nel luogo di lavoro. Non avere costantemente il senso della fretta è una dote preziosa, permette di reggere al meglio le condizioni di stress; allo stesso tempo è necessario percepire il senso dell’emergenza quando serve, soprattutto nella gestione dei momenti critici del business che necessitano di risposte immediate. Se si rimane costantemente iperconnessi (penso alle tecnologie, oltre che a riunioni una dietro l’altra), non si ha il tempo di guardarsi intorno; bisogna avere (e saper trovare) il tempo per osservare, nutrire la mente anche con elementi non strettamente o apparentemente collegati al proprio lavoro. I contributi allo stile di management generati da una mostra d’arte, la lettura di un articolo, un viaggio, un film, possono essere straordinari… Il tutto per arrivare a dei momenti in cui si lascia vuota la mente, in attesa di accogliere nuovi spunti. Per quanto riguarda comunque il tema dello slow work, ricordiamolo pure… la pausa caffè è sacra!”