Il B2B è davvero morto?
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Il B2B è davvero morto?
26/10/2018

Deborah Gaudio, Network di Brandforum.it
Una panoramica sull’evoluzione del settore business-to-business e dei “nuovi” rapporti tra le aziende, utile per comprendere le attuali prospettive del mondo del sales

Il B2B Digital Day, in Fondazione Feltrinelli, si apre con una provocazione: il B2B è morto. Come esordisce Giorgio Soffiato, fondatore e Managing Director di Marketing Arena, secondo gli esperti, le relazioni business to business si sono estinte poiché l’approccio aziendale si è convertito unicamente ai contatti human-to-human. È davvero così? Dobbiamo mettere fine ai rapporti commerciali tra le aziende?

 

La risposta emerge dagli speech che si susseguono con un ritmo serrato e dinamico e che offrono interessanti scorci sul futuro del segmento commerciale.

Oggi la complessità permea tutti le fasi del processo di acquisto: i tempi, infatti, si sono allungati così come è incrementato il tempo speso per la ricerca di contenuti prima dell’incontro con il venditore.

 

La prospettiva dunque prevede il rapporto con un buyer già informato ma che, al contempo, non è l’unico attore che sarà coinvolto nel processo decisionale finale. I bisogni da soddisfare sono sempre più elaborati e occorre ricordare che chi acquista, non acquista solamente un prodotto o un servizio, bensì compra la soluzione ad un problema, prestando fiducia a colui con il quale si interfaccia.

 

 

La #MarketingAgenda del futuro

La relazione diventa esperienza integrata tra rapporto umano e tool digitali. Il punto focale della relazione anche nel B2B è il #contenuto. È infatti fondamentale sviluppare una strategia di delivery dei contenuti per ogni momento in cui si intercetta il cliente: dall’education – il cui l’obiettivo è informare, all’engagement – dove il coinvolgimento sarà la leva che attiva il successivo rapporto commerciale, dal momento del go to market da cui emergono le proprie caratteristiche distintive che determineranno la scelta del cliente, al caring, ovvero alla cura del rapporto fino al post-vendita, con l’obiettivo ultimo della fidelizzazione che dovrà continuamente essere alimentata.

 

Viene delineata dunque la #marketingagenda del CMO (Chief Marketing Officer) di domani:
1. Capire quali sono i valori della propria impresa ed effettuare un’analisi di mercato;
2. Parlare ad una persona specifica, non ad archetipi di target;
3. Misurare e mappare la customer journey per comprendere le informazioni salenti da fornire ai propri clienti;
4. Prestare attenzione alle piattaforme e alla loro evoluzione;
5. Sviluppare strategie di digital marketing al fine di generare contatti e fare networking;
6. Analizzare e misurare i dati lungo tutto il processo di conversione, capitalizzando quanto emerge in ottica di ottimizzazione dei processi e delle relazioni.

 

 

Un ulteriore punto di vista interessante viene proposto da Gianluca Diegoli, Marketing advisor e Adjunct professor presso l’Università IULM, che sostiene che il B2B sia un “gemello diverso”. Cosa significa? If your competitor zig, you should zag: bisogna, dunque, rendersi distinguibili dai propri competitor, evitando l’“effetto gregge” e per fare ciò la parola chiave è #innovazione. Quali sono le dritte per garantire l’efficienza nel proprio business? Oltre al costante monitoraggio dei contenuti proposti, occorre avvalersi di qualche accortezza:
• evitare di dare incentivi al venditore che vende a persone già convinte, eludendo uno spreco di risorse in direzione di una transazione che molto probabilmente andrebbe a buon fine anche senza incentivi;
conoscere il proprio prodotto a tutto tondo e cercare di mettersi “negli occhi del cliente” (marketing myopia), presentando se stessi come risolutori di problemi;
• essere in grado di trasmettere i valori del brand, dove la sigla B2B acquisisce qui il significato di “Back to Brand”, ovvero essere riconoscibili grazie a un processo integrato di soluzioni che trasmettano con voce univoca il mood dell’azienda, del prodotto o del servizio;
• comprendere non solo chi sono gli intermediari aziendali cui proporre la soluzione, bensì capire anche chi sono i reali utilizzatori finali di ciò che si sta vendendo, grazie a tecniche di valutazione dei bisogni avanzate e affidabili.

 

(Ph. Deborah Gaudio)

 

Ovviamente occorre essere preparati in maniera olistica e bisogna anche imparare a dire “no”, come suggerisce Stefano Luperto, Head of Marketing di Bluenergy.
Lo stile dello “yes man” non è opportuno nel business: è infatti necessario esprimere un pensiero critico e costruttivo anche ai propri superiori, avendo piena consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti. A volte, dire “no” aiuta ad ottimizzare le tempistiche, soprattutto in un panorama come quello odierno dove il tempo è una risorsa scarsa.

 

 

Case history: Arper
Tra i diversi interventi, c’è spazio anche per uno speech in inglese, dal curioso titolo “Can chairs talk?”, proposto dai relatori Preriit Souda, Data Science Director presso PSA Consultants Ldt, e Chiara Davanzo, Brand & Digital Engagement Manager presso Arper. Arper è un azienda che produce sedie, che si basa su un approccio human-orientated, infatti lo stesso nome significa “Arredamento per”. Le sedie, quindi, sono in grado di parlare? Sì, le sedie possono parlare grazie all’intelligenza artificiale e grazie all’analisi dei testi e delle immagini reperiti online, nelle conversazioni degli utenti.
Analizzare l’immaginario che il brand ha creato sui social media è parte di un piano strategico ormai fondamentale, che prevede indagini di diverso tipo e processi complessi, atti a ottenere insight salienti e utili a orientare il business. Occorre pianificare i parametri secondo cui si vogliono intercettare i dati e le immagini (crawling), occorre estrarre tali dati (mining) e comprendere, ad esempio, quale sentiment è attribuito a un determinato brand o prodotto, quali sono le opinioni a riguardo, che ruolo hanno gli influencer.
Bisogna poi valutare la pertinenza di quanto emerge dall’analisi in relazione al brand considerato.

 

(Ph. Deborah Gaudio)

 

 

Nel caso di Arper, a seguito del processo di social analytics e social listening, si è rilevato un sentiment positivo per oltre il 95%, si è constatato che, nonostante l’azienda sia italiana, viene percepita come brand internazionale con tratti creativi. Arper si posiziona come il secondo brand più potente a confronto con i competitor. Come colmare il gap? Ecco alcuni spunti:
• il brand deve essere più umano;
• occorre investire nelle relazioni culturali;
• è necessario generare conversazioni intorno al brand;
• occorre implementare un approccio visuale sempre più innovativo e proporre contenuti digitali pertinenti.

 

 

Case history: Moleskine
Potremmo pensare che Moleskine si rivolga strettamente ai consumer; in realtà l’azienda ha intessuto diverse collaborazioni B2B, producendo edizioni limitate della celebre agenda, al fine di rispondere a determinati bisogni espressi dai differenti business.
Siamo un’azienda di contenuti: così si apre lo speech di Francesco Lepre, Managing Director di Moleskine. Anche in questo caso, viene rimarcata l’importanza dei contenuti, differenziati in base ai diversi segmenti di mercato. Dall’analisi dei bisogni, alla delivery dei contenuti, fino all’attrazione dei clienti e il coinvolgimento di testimonial e influencer, sia online che offline: è questa la strategia attuata per indirizzare contenuti di valore ai target corretti. L’assunto chiave, durante tutto il processo, rimane costante: occorre attuare la totale integrazione tra l’area marketing e l’area sales.

 

(Ph. Deborah Gaudio)

 

 

L’interrogativo iniziale, dunque, trova una soluzione univoca da parte di tutti gli speaker: è necessario integrare marketing e sales, in un’ottica sempre più digital oriented. Questo è il segreto per mantenere vivo il B2B, che deve necessariamente trasformarsi e rinnovarsi, rimanendo al passo con i tempi. Il marketing deve preparare il terreno alla fase di vendita, motivo per cui è nodale che i contenuti siano coerenti e salienti lungo tutto il percorso di relazione con i clienti.

 

(Ph. Deborah Gaudio)


Sono tre le parole chiave:
#design: bisogna creare un’esperienza e una relazione significativa, che non parli solo di vendita ma che faccia sentire il cliente “al centro”, coccolato fino al post-vendita;
#tecnologia: bisogna scegliere e utilizzare i tool più adeguati, non solo basandosi sulla “moda” del momento, ma operando una scelta strategica per i propri obiettivi di business;
#misurazione: è ormai fondamentale attuare processi di misurazione, interpretazione e capitalizzazione dei dati, estraendo insight utili a orientare i processi decisionali aziendali e a innovare il panorama delle imprese.

 

Il B2B quindi pare essere tutt’altro che morto: si sta innovando per adeguarsi in maniera sempre più pregnante nei business in continua evoluzione.

 

 


Deborah P. Gaudio, Laureata in Comunicazione per l’impresa, i media e le organizzazioni complesse, attualmente sono Tutor d’aula del Master Account e Sales Management presso l’Università Cattolica. Amo la cultura e la comunicazione in tutte le sue forme. 

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Indirizzo e-mail: deborah.gaudio@libero.it
 

A cura di

Deborah Gaudio

Redattore Junior

Collabora con Brandforum da novembre 2018

Dopo la laurea triennale in Arti, Design e Spettacolo, ha conseguito con lode la laurea magistrale in CIMO. Comunicazione per l’impresa, i media e le organizzazione complesse – profilo: organizzazione eventi – (Università Cattolica del Sacro Cuore) con una tesi di ricerca sulla formazione delle risorse umane con attività di stampo esperienziale.

Ha collaborato in ambito organizzativo con alcune scuole di teatro e attualmente è Tutor d’aula del Master in Account e Sales Management e Cultore della materia presso le cattedre di Media Studies and Cultural History, Strategie e Linguaggi  della comunicazione mediale, Storia e linguaggi della pubblicità (Università Cattolica del Sacro Cuore).

È appassionata di cultura e di comunicazione in tutte le sue forme.

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