Il “cappello magico” dello storytelling aziendale: quando i brand vogliono raccontarsi
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Il “cappello magico” dello storytelling aziendale: quando i brand vogliono raccontarsi
17/10/2014

Cristina Fona, Network di Brandforum.it
Una panoramica sull’utilizzo dello storytelling come strumento corporate: da semplice racconto a valida strategia comunicativa per modificare la reputazione aziendale.

Il narratore è colui che accoglie in sé l’esperienza e
la trasforma in esperienza per il lettore

(Walter Benjamin)


Da quando negli Stati Uniti ed in Europa si è iniziato a parlare di storytelling in ambito aziendale, molte cose sono cambiate. L’avvento dirompente delle piattaforme social e delle nuove tecnologie, unito alla necessità dei brand di prevalere sui propri concorrenti, ha portato all’estremo l’utilizzo di questo concetto. Creare una storia è diventato il nuovo monito da seguire, quasi una moda che condiziona le intense giornate di esperti di comunicazione, agenzie, direttori marketing e intere schiere di nuovi “consulenti”.

 

E’ una guerra fra odio e amore questa con lo storytelling: àncora di salvezza o feticcio da demonizzare? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Fontana, Co-Founder di Storyfactory e docente di "Storytelling e Narrazione d'Impresa" presso l’ Università di Pavia  e Massimo Lico Visual Storytelling Specialist.

 


Road map: dove siamo e dove stiamo andando? Italia e storytelling a confronto.
E’ facile perdersi nell’immaginario del “C’era una volta…” ed è anche molto facile restarne incantati, ma quando applichiamo lo storytelling al mondo aziendale non stiamo raccontando una barzelletta o leggendo una favola.

 

Obiettivo, messaggio e pubblico restano i nostri punti di riferimento. Come spiega il prof. Fontana: “Occorre innanzitutto pensare a una strategia del racconto (a chi sto raccontando), costruire i contenuti (cosa raccontare) e infine incarnare i contenuti sui media”. Non è un qualcosa che può essere pertanto improvvisato, perché, continua: “Quando scrivo un racconto (di vita, impresa, prodotto, etc) so che quella narrazione può avere grandi ripercussioni per me – azienda – e il mio brand”.

 

Le storie sono vere e devono esserlo nella loro essenza profonda, perché non esistono più gli estremi e gli strumenti per oltrepassare la ghigliottina della sfera pubblica e naturalmente devono prevedere una valida misurazione della loro efficacia, in termini di estensione ed intensità, ovvero “occorre capire quanto la storia che si è costruito è stata diffusa (estensione) e quando è stata appresa (intensità)”. “Dai e facciamolo sto storytelling”…si sentono dire i responsabili marketing dai loro superiori.

 

E’ evidente che ancora molta confusione su cosa sia lo Storytelling, soprattutto nel nostro Paese, esiste…quasi come fosse un cappello magico dentro cui si possono nascondere le cose. Questo è un punto di partenza innegabile e forse legato al fatto che, come dice il prof. Fontana, in Italia perlomeno “siamo ancora in una fase embrionale” e di sperimentazione.

 

Certo è che dal cappello dello storytelling non fuoriescono conigli bianchi. E’ quindi bene precisare che parlando di storytelling non ci riferiamo ad un singolo spot, né ad uno speech particolarmente significativo, né ad un concorso di racconti, né a quella storiella sulle origini dell’azienda che al CEO piace così tanto.  Questi strumenti possono farne parte ma non necessariamente. E se vi dicessi che dal cappello non esce un coniglio ma una casa? Dicasi, in altri termini, abbiate il coraggio di pensare in grande ma anche di vedere le cose per quello che sono…

 


Come si narra un brand: una storia di case e mattoni.
Siamo rimasti ai conigli ed alle case. Bene, il nocciolo della questione è che lo storytelling è una strategia che attua processi volti a creare un’architettura narrativa. Semplificando, possiamo parlare di una casa, alla cui base (fondamenta) si trovano la cultura, l’identità, i valori e la storia biografica di un’azienda, un’associazione, un prodotto o una persona.

 

Ogni elemento architettonico ha un suo preciso scopo e vive i funzione degli altri, così è ogni elemento narrativo. Ogni storia che viene generata, sia essa un semplice mattone o un intero piano, poggia sulla medesima struttura e deriva dalla volontà e dall’impegno di diverse personalità… la committenza, l’architetto, l’ingegnere.

 

Fuor di metafora, più persone ed elementi garantiscono la solidità o la fragilità del progetto di storytelling e pertanto le storie non devono essere solo belle, ma anche funzionali ad un qualcosa: un bisogno, una mancanza, spesso un senso di appartenenza. Questo significa che quello che solitamente il pubblico vede, è soltanto la punta di un iceberg e che senza delle buone fondamenta, le storie rimangono fine a sé stesse e sono destinate a ritornare nel cappello magico. E’ sufficiente una folata di vento a far crollare una casa di paglia. 

 


Consonanti e trend: transmedia e visual storytelling.
Abbiamo visto negli ultimi anni diverse aziende, anche italiane, fra cui Enel e Wind, muovere i primi passi in questo ambito, con campagne, spot e iniziative di scrittura partecipativa.

 

Fra gli esempi più recenti, Massimo Lico ci sottopone il progetto di IkeaLife at Home Report”, in cui il corporate storytelling viene applicato al data visualization. I dati raccolti durante indagini e ricerche di mercato diventano dei racconti sullo stile di vita di intere città: “cambiando una consonante scopriamo come sia possibile ancora una volta far immedesimare il visitatore”, precisa il dott. Lico.


All’orizzonte, si intravedono ancora diversi trend da esplorare a pieno, transmedia e visual storytelling, in primis. Il transmedia storytelling ci consente di diffondere i contenuti su media diversi, modificandone di volta in volta i contenuti ed ampliandone l’estensione. E’ un metodo che abbraccia diverse filosofie di pensiero e che trova nei social media un ambiente fecondo.

 

Il visual storytelling, invece, spiega Massimo Lico, utilizza il visual content engagement per creare un universo narrativo dietro cui vi è una ricerca di valore e significato. Alla base vi sono fattori importanti quali il Key Frame e il Third Effect.

 

Il primo “è il fotogramma chiave che, all'interno di un video o di una sequenza di immagini, contiene gli elementi fondamentali del racconto visivo, intorno ai quali poi sviluppiamo la storia nel suo complesso”, precisa il dott. Lico. Il third-effect, invece, amplia la portata comunicativa delle immagini, attraverso un accostamento di fotogrammi “che consente, all’osservatore, di innescare connessioni psicologiche di diverso tipo, al fine di creare o di percepire sensi e significati più ampi”.

 


Oltre la soglia del capitale narrativo
Seguendo quanto dice Vogler, nel suo saggio “Il viaggio dell’eroe”, quando il protagonista accetta la sfida e si imbarca nella sua nuova avventura, oltrepassa una soglia. Poniamo che questa soglia sia l’universo narrativo stesso, cosa troveremmo al di là di questo varco? Nuove storie e nuovi universi.

 


E’ impossibile negare l’impatto che le storie hanno nella nostra vita, ma allo stesso tempo dobbiamo prendere coscienza che non esistono formule magiche e non basta un racconto per cambiare la reputazione di un’azienda, ma una strategia di comunicazione valida, associata ad un mutamento valoriale profondo. E’ chiaro che, lo storytelling non è un àncora di salvezza, ma uno strumento.

 

La moda sta negli slogan dei consulenti d’ultimo grido e nell’abuso di un concetto spesso mistificato. L’unica strada percorribile: l’umiltà di reinterpretarne il senso ultimo e uno sguardo lucido e attento sul binomio mezzo-fine, quanto sul panorama mediatico sempre più contraddistinto da nuove modalità di comunicazione partecipativa.

 

Fonti: http://www.storyfactory.it/category/progetti/
http://www.youtube.com/watch?v=66pM5imOPew
http://lifeathome.ikea.com/#london
 

 

Cristina Fona, Laureata in lingue e comunicazione massmediale presso l’Università Cattolica di Milano, coltiva da sempre una passione per giornalismo e media. Dopo una prima esperienza professionale in Francia, consegue un master in Media Relation ed inizia a lavorare e collaborare con agenzie di comunicazione ed uffici stampa. Attualmente impegnata in un Phd in Business & Management presso la Middlesex University di Londra, si occupa di comunicazione ed innovazione, marketing, corporate storytelling e place branding. Contatti: cristina.fona@alice.it, Twitter: @crisfona, LinkedIn: http://it.linkedin.com/pub/cristina-fona/43/157/731

 

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