Il mondo spiegato da Annamaria Testa
Brand Trends
Il mondo spiegato da Annamaria Testa
01/02/2002

Annamaria Testa
Tratto dall’intervento di Annamaria Testa al Congresso Nazionale della Pubblicità  Io parlo, tu ascolti. Tu parli, io ascolto. – Roma, 25-27 Ottobre 2001.’Noi usiamo la parola ‘comunicare’ in due […]

Tratto dall’intervento di Annamaria Testa al Congresso Nazionale della Pubblicità  Io parlo, tu ascolti. Tu parli, io ascolto. – Roma, 25-27 Ottobre 2001.

‘Noi usiamo la parola ‘comunicare’ in due sensi profondamente diversi.
Parliamo di comunicare qualcosa, intendendo ‘esprimere’ qualcosa (bisogno, progetto, idea) e parliamo di comunicare intendendo dire ‘trasmettere’ un qualcosa a qualcuno.

Va da sé che, se davvero vogliamo trasmettere il qualcosa, dobbiamo tener conto del qualcuno: dei suoi bisogni, dei suoi progetti, delle sue idee.
Spesso diciamo di voler fare la seconda cosa, ma in realtà  facciamo la prima. È più comoda, ci viene meglio e soprattutto concerne ciò che sta davvero a cuore: non siamo così flessibili e così accorti da modificare il bisogno, il progetto o l’idea abbastanza da far sì che si incontri con il bisogno, il progetto o l’idea dell’altro.
E non sto parlando solo di forma: sapete tutti quanto, per un copywriter pubblicitario innamorato della fantasia e della magia del linguaggio, la forma può essere importante.
Ma la forma, seduttiva o assertiva che sia, qualche volta non basta.
Veniamo al tema, e facciamo un esempio concreto. Viviamo tempi difficili e tragici. Al disastro della guerra si aggiunge lo spettro della recessione. Da più parti arrivano inviti accorati a consumare ancora. A consumare per difendere l’economia. A consumare per motivi patriottici.
Dubito profondamente che questo tipo di inviti, anche se fatto con le migliori intenzioni del mondo, possa sortire qualche risultato significativo e duraturo.
Non si può dire alla gente ‘devi consumare’ così come non si può dire ‘devi essere felice’. È quello che gli psicologi chiamano un’ingiunzione paradossale. Non solo non funziona, ma rischia di creare frustrazione, e ulteriore infelicità .

‘Come fai a dirmi di mangiare se quello che vedo e che sento attorno a me mi ha fatto scappare la fame? Di viaggiare se mi è scappata la voglia di muovermi di casa? Di cambiare macchina, o computer, o telefonino nel momento in cui la mia capacità  di progettare il futuro si è cos’ accorciata che sento il bisogno di incollarmi tutte le sere alla TV per sentire il TG e i programmi news ( sapete tutti che questi ascolti sono enormemente aumentati dall’11 settembre), giusto per rassicurarmi che la catastrofe non mi stia arrivando troppo vicina?’

La soluzione è probabilmente un’altra.
Prima di ricostruire i consumi bisogna, forse, ricostruire il terreno su cui si possono sviluppare i consumi. Anche questo terreno (individuale, psicologico, emozionale) è stato bombardato, e continua ad esserlo, ogni sera.
C’è bisogno di fare un salto. Di praticare la creatività  e il paradosso per tornare a poter dialogare (facendosi capire) con qualcun altro. E anche con il ‘qualcun altro’ che ciascuno di noi è diventato il momento dopo l’11 settembre è stato costretto dai fatti a rivedere i suoi sistemi di certezze, di progetti, di emozioni, di speranze e di desideri.

Il terreno è stato bombardato, e le vecchie categorie sono saltate. Molti hanno detto e scritto che ‘niente sarà  più come prima’.
I consumi non potranno mai più essere quelli di ieri perché i consumatori non sono più quelli di ieri.

Niente sarà  più come prima perché noi non siamo più come prima.
Il terreno è differente, ora. Possiamo e vogliamo, e dobbiamo costruirci sopra. Ma dobbiamo trovare l’entusiasmo, il coraggio, la creatività  necessaria per costruire qualcosa di diverso e possibilmente, di migliore.
Bill Clinton ci ha detto che si deve fare e come si può fare. Ha detto ‘un giorno ci rendiamo conto all’improvviso che queste scatolette in cui inscatoliamo l’umanità  colgono solo una piccola parte dell’umanità  e non tutta la realtà , e la maggior parte di noi che facciamo sul serio nella vita’.

E ci ha detto ‘non è facile superare le pareti dei compartimenti stagni. Ma se noi qui, in questa bella sala, con la nostra vita comoda, non siamo disposti a fare questo sforzo, allora il mondo a cui andiamo in contro sarà  cupo e pericoloso’.
Non possiamo limitarci a dire ‘consumate ancora’: dobbiamo pensare alle cose che proponiamo di consumare. Trovate altre cose, proporre nuovi motivi e modelli di consumo. Forse dobbiamo cominciare partendo ancora prima: ridisegnando, per esempio, il concetto stesso di ‘consumo’ e di ‘economia’ fondata sui consumi, secondo criteri -anche di questo parlava Clinton- che tengano conto delle ‘quattro cose negative’ che non possiamo più permetterci di ignorare: la povertà , la crisi ambientale, la crisi della sanità  e il pericolo della crescita del terrorismo.In tutto questo possiamo recuperare anche l’idea di un futuro possibile capace, lei sì, di riaccendere anche i consumi.
Forse dobbiamo smettere di dire – in modo che oggi suona un po’ arrogante – ‘consumate!’. Forse dobbiamo passare dal ‘consumare’ a qualcosa di più simile al ‘costruire’ e al ‘ri-costruire’: se stessi, il proprio mondo piccolo, quello degli affetti e delle attività  e delle identità , e il mondo più grande a cui tutti apparteniamo.
Certo, ci sarà  sempre bisogno di produrre e di scambiare e di vendere e di comprare: ma probabilmente non gli stessi identici prodotti, venduti e comprati per gli stessi identici motivi, negli stessi identici modi.Le ‘quattro cose positive’ di cui disponiamo sono economia, scienza, tecnologia, democrazia e tutela delle diversità . Lavoriamo su queste, e costruiamo, su un terreno differente, il nuovo.
Costruire il nuovo è una grande sfida: sono certa che tutti i creativi sarebbero felici riaccoglierla. Ma credo che nell’accogliere questa sfida anche il sistema delle imprese e dei media potrebbero trovare grandi opportunità .
Credo che un grande aiuto nell’affrontare questa sfida potrebbe venire -anche se questo potrebbe sembrare paradossale- da un dialogo franco, aperto e senza pregiudizi proprio con il movimento No Global.
Non dimentichiamoci che un dialogo è un confronto -civile, se è possibile- nella differenza. E che solo il confronto fra reali differenze è fertile davvero, e può dar vita a qualcosa di nuovo.
Il movimento No Global, da questo punto di vista, si configura come una grande risorsa – magari non per la singola impresa che si vede contestata – ma per il sistema delle imprese nel suo complesso. Propone anche in modo prepotente problemi da affrontare, certo. Ma solo considerando i problemi si possono possono avere speranze trovare soluzioni che tengano conto, per esempio, delle ‘quattro cose negative’ che diceva Clinton.
Fabrizio De Andrè cantava, anni fa, che dal letame nascono i fiori. Forse è solo un’utopia da vecchia creativa, ma oggi vorrei azzardarmi a pensare che, con la volontà , la passione e l’intelligenza e la compassione di tutti noi si possa costruire, sul terreno delle nostre anime e delle nostre abitudini quotidiane devastate dalle bombe, il progetto e la pratica di una società  nuova, di nuove abitudini, di un nuovo fiore che faccia rifiorire il mondo’.

Allegati

A cura di

Annamaria Testa

Copywriter. E' autrice di numerosi articoli e saggi sul tema della comunicazione.

Ti potrebbe interessare anche...

Negli ultimi anni, le produzioni audiovisive e il Branded Entertainment hanno cominciato a raccontare anche i luoghi: sono molte le produzioni che si stanno avvicinando a questa pratica, promuovendo e valorizzando il territorio attraverso destination branding e place branding.
Green marketing o greenwashing? Come sviluppare efficaci strategie in ottica di sostenibilità: i casi Lush e L’Oréal.