Moda e live: un fenomeno vincente?
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Moda e live: un fenomeno vincente?
27/04/2012

Alessandro Argentieri, giornalista di Marie Claire, Guest di Brandforum.it
Essere “live” sta diventando un’oscillante ossessione del mondo della moda: dalle sfilate agli eventi. Dal 1998 brand nazionali e internazionali si stanno sfidando in questa nuova e critica vetrina del fashion, dagli Usa al Sudafrica, dal Canada al Giappone.

1. Il trend del live nelle sfilate moda

È un'oscillante ossessione del mondo della moda, una scelta da ostentare come segno di modernità, rappresenta anche uno dei bisogni visivi della superficiale generazione edonista dei nostri tempi. Il soggetto è il live ovvero la naturale propensione tecnologica di marchi, società e persone a comunicare contenuti (in questo caso di stile) attraverso una delle ultime modalità web.

Essere live è come essere on air il secolo scorso con la differenza che si usa la Rete e tutti i corrispondenti media device. E se il pioniere dello streaming fu nel 1993 il gruppo dei Severe Tire Damage, la prima casa di moda a trasmettere in diretta è stata l’americana BCBG il 2 novembre del 1998, per raggiungere i buyer che non potevano partecipare allo show. Un momento d’innovazione quasi dimenticato con l’arrivo di Victoria’s Secret che grazie alla sua azione di p.r. e marketing è riuscita ad avere un milione e mezzo di webnauti collegati (più della deposizione di Monika Lewinsky su Bill Clinton) per vedere ancheggiare Laetitia Casta.

L’Italia non è stata a guardare e il 25 settembre 1999 la stilista di Krizia Mariuccia Mandelli ha mandato sulla Rete la sua sfilata. Da quell’anno non c’è stata stagione che non abbia avuto i suoi attimi trasmessi in diretta su Internet: dal sito ftv.com (v. http://www.fashiontv.com/) della televisione Fashion Tv ai momenti di condivisione dal Giappone per Chanel fino alle dirette della settimana della moda dal Sudafrica. E le altre nazioni non sono immuni dal fenomeno: è stata “livizzata” la Columbia Fashion Week del Canada, la fiera tedesca Bread&Butter o il raduno fashionista della griffe giapponese Tokyo Girls mentre l’India con la Lakmé Fashion Week ha riempito tutto il palinsesto senza quasi lasciare pause temporali sul suo sito.

 

2. Eventi di moda live

Non però solo di sfilate vive il live: sono sempre di più gli eventi al di fuori delle solite settimane della moda.

Ralph Lauren ha trasmesso l’inaugurazione in 4D del suo store in Madison Avenue (v. http://www.youtube.com/watch?v=c3n8j2uWA8o); i grandi magazzini Target hanno mandato in streaming la serata del Kaleidoscopic Fashion Spectacular con i look indossati da 66 ballerini sui piani di vetro dello Standard hotel di New York; non sono state da meno le sessioni dei blogger, vedi la kermesse "ITFB are you?" o le fiere dedicate all’abbigliamento da mare (maredamare.eu), da sposa (theknot.com) fino all’ultimo incontro virtuale di tre blogger che commentavano una serata in Asia di Prada nel 2011.

Da Londra showstudio.com ha spesso in calendario sessioni di creatività in streaming comprese le chat fra stilisti, modelle e icone della moda del calibro della top-model Kate Moss, l’avveniristico designer Gareth Pugh o la musa miliardaria Daphne Guinness. Inoltre in Inghilterra la fashion-week è completamente trasmessa da LFW.com. Solo Burberry si è escluso da questo sistema perché preferisce farlo in maniera autonoma ed esclusiva per rendere la democratica griffe un brand ancora più lussuoso e tecnologico. E se perfino Balenciaga, da sempre riluttante a concedersi alle masse, ha voluto lo streaming per le sue ultime sfilate, vuol dire che il seme del live continua a germogliare e ad attecchire.

Difficile spiegare questa mania con un solo motivo.

Fanno da traino la globalizzazione e il desiderio (o bisogno) di onnipresenza che prevede un’audience universale e, proprio per questo, inclassificabile e infedele. Nessuno si affida esclusivamente, come in passato, a specifici target ma, pur proponendo un’immagine sempre più irraggiungibile, le case di moda vogliono essere presenti dappertutto e ambite da tutti. A beneficiare di questo presenzialismo virtuale è il capitale umano (dovuto alla conoscenza implicita e all’abilità di realizzazione riconosciuta attraverso il web), intellettuale (con brevetti e registrazioni visibili a tutti), strutturale (quando riferito all’azienda) e relazionale, fra prodotti e clienti che dovrebbero rendere un video in una visione esperienziale.


Gli insuccessi e la noia delle pessime visioni passate d’inizio millennio (dovute alle basse performance di rete e tecnologia) sono stati dimenticati da quando questi momenti si possono condividere fra amici e vi è la possibilità di chattare mentre si guarda una manifestazione distante chilometri, usufruendo dei più disparati mezzi e modalità tecnologiche. Nicola Formichetti, il nuovo stilista italo-giapponese di Thierry Mugler, ha osato mandando in stream i tre giorni di prove e fitting antecedenti le sfilate della maison francese. L’inglese Burberry invece ha visto accrescere i click della diretta grazie a Twitter che ha fatto a sua volta aumentare anche gli utenti di Facebook (da 8 a più di 10 milioni).

 

3. I punti di forza e quelli di criticità della moda live: 60 brand messi a confronto


Malgrado gli sforzi strategici però la visione live della Rete non si può ancora paragonare a quella televisiva: né a livello di percezione, né di concezione.

Su sessanta casi da noi analizzati ben sei hanno infatti delineato errori di base dovuti alla sottovalutazione del mezzo. Le sfilate, infatti, continuano a essere concepite prima per il pubblico in sala e poi per quello televisivo e alla fine per il web. Per questo motivo le trasmissioni traboccano d’imperdonabili dettagli: riprese troppo veloci che sgranano ogni immagine, altre più generali che non delineano alcuni particolari o quelle fisse che tolgono ogni emozione annoiando subito, quando sono proprio stimoli e sorprese a non far cambiare pagina a chi è a casa.

Non sono state poche neppure le maison improvvisate, irrispettosamente convinte che bastasse una telecamera per attirare un probabile pubblico fashionista disposto a perdere venti minuti del proprio tempo di fronte a immagini con colori instabili e forme poco definite. C’è stato anche chi ha cambiato la musica per problemi legali rovinando l’atmosfera con motivi che non riprendevano l’ispirazione della sfilata e chi non ha registrato la diretta su nessun motore di ricerca. Peggio ancora, una casa di moda francese ha fatto finta di trasmettere in ritardo lo show quando le fonti via Twitter già stilavano la fine dell’evento. Il tutto con una grafica poco accattivante e soprattutto lontana dai codici del marchio. Ultima nota negativa da evitare è sottovalutare il numero di utenti o sopravvalutare la potenzialità della rete: una griffe italiana, non essendo tecnologicamente pronta, ha reso lo streaming pixelato, sgranato e costantemente interrotto.

Soltanto Gucci, per due stagioni, ha cercato di fondere una visione autentica e tecnologica con una personalizzata per il web e i social network che coinvolgeva lo spettatore grazie alla telecamera del proprio pc che proiettava il viso dell’utente in una sala virtuale del sito e in quella reale dove si teneva lo show. Era stato pensato anche un vero invito digitale e c’erano ben quattro telecamere sull’evento da gestire secondo le curiosità personali. Un successo però ripensato proprio questa stagione a causa di una riduzione delle spese e di alcune sofisticazioni visive.

Ha puntato invece sulla manualità Calvin Klein che ha dato la possibilità di fotografare e salvare le immagini della sfilata uomo anche a chi era seduto davanti al computer. Un gesto nuovo e utile per chi voleva avere una memoria dello show.

Salvatore Ferragamo, approfittando del consueto ritardo in sala ha pensato a delle sneeky preview di alcuni accessori, sottolineando così i pezzi cult, una mossa tattica se si pensa che il marchio fiorentino basa una buona fetta del fatturato sulle calzature.

Emilio Pucci, invece, è riuscito a creare un "iconismo temporale" ricco di glamour e attenzioni ai look. Vedere questa sfilata online era meglio che assistere al vero e proprio show in quanto le telecamere seguivano la modella per tutta la passerella aumentandone la visibilità e il ricordo (grazie alle diverse inquadrature tutte strette, perfino sul retro del look).

 

3.1.  Intrattenimento e coinvolgimento digitale: gli sviluppi possibili della moda live

Nell’attesa che i produttori di questi eventi migliorino le performance, un modo per raggiungere ancora più pubblico è quello di travalicare l’audience specifica e creare momenti d’intrattenimento.

Una possibilità avvalorata da chi crede nella gadgetizzazione dei mezzi tecnologici dei prossimi anni, quella che permetterà una visione, non più dal monitor della scrivania ma, da ogni piccolo o grande schermo piazzato a casa, in ufficio o in mano durante gli spostamenti quotidiani. D’altra parte a giudicare il numero di smartphone venduti siamo veramente entrati nell’era dell’Ubi-computing, quel momento profetizzato dall’antropologa Genevieve Bell che prevede anche l’essere wired o connessi ovunque e ininterrottamente.

E se questa continua rivoluzione tecnologica-sociale avverrà, si assisterà quasi a un ribaltamento della teoria di Marshall McLuhan sulla massima «il medium è il messaggio». Nick Bilton, giornalista americano e professore alla New York University, crede che la tecnologia tornerà in secondo piano (tanto ne saremo circondati e sarà facile usarla) e che il messaggio sarà ancora il messaggio, più interessante del mezzo. Una teoria credibile seppure la moda, per la sua connotazione sensuale ma allo stesso tempo commerciale, non riesce ad avere lo stesso successo di certi sport o news. Proprio per questo il fashion-system dovrebbe uscire dallo schema "immagini e shopping online" per entrare in una fase di gioco, discussione e ribaltamento.

I social-network come Pinterest e Polyvore non usano quasi più più le parole ma le immagini per trasmettere emozioni. Superato deve essere quindi il pensiero che vede una sfilata live come un evento eccezionale perché trasmette virtualità mobile in diretta su internet. Questa mania è ormai un fenomeno consolidato e al pari della televisione,  per resistere nel tempo, deve offrire contenuti speciali ma anche sorprese e sofisticazione, sfruttando e rinnovando tutti gli accorgimenti televisivi e cinematografici di questi decenni.

Dopo aver affinato grafica, video e trasmissione, il passo successivo potrebbe essere non pensare più alle dirette streaming come a prove di affetto da parte dei fans verso un determinato marchio ma confrontarsi con il mondo e approfittare dei mezzi. Il live dovrebbe essere ovunque proprio perché è live ed è un’alternativa visiva internazionale. Chi vi ha involontariamente pensato è stata la consolle dei giochi Xbox che offre, come alternativa al gioco elettronico, la possibilità di usufruire di ben 50 fra i più disparati canali televisivi internet che trasmettono in diretta i propri programmi. Una scelta motivata anche da uno studio americano di ComScore che suggerisce proprio come le persone dai 25 ai 34 anni preferiscano la Rete per vedere le dirette televisive. E fra le notizie, lo sport o la musica anche la moda potrebbe avere la sua parte. 
 
Nell’attesa di studi specifici e mirati (con degli standard universali riconosciuti), le previsioni di Ooyala, leader nella trasmissione live web, promettono comunque avanzate da record: entro il 2014 la crescita di video da vedere in mobilità sarà del 104% e più del 428% saranno le dirette tv su internet. Sono dati credibili se si pensa alle numerose application che rendono (quasi) immediato trasmettere un evento in rete . Programmi come Bambuser, LiveCast, Ustream e Stickam permettono a qualsiasi spettatore di riversare ogni immagine in movimento su Internet per mostrarla ai propri amici. Se poi il tutto viene caricato su qualche social network (come Facebook o Google+), ogni utente diventa un caleidoscopio di immagini ed emozioni e un moltiplicatore di connessioni. Un esperimento che potrebbe far entrare il live nella dimensione 2.0, quella che aveva già toccato i siti di molte aziende che volevano content user-generated per rendere più autentici e speciali le loro pagine web istituzionali.

L’aggiunta del fattore personale (garanzia di qualità come l’amicizia) è però soltanto l’inizio dell’esperienza: per restare in auge questa fruizione ha bisogno di un profondo coinvolgimento, visto che richiede sforzi come svegliarsi nel mezzo della notte per assistere a una sfilata da Los Angeles. Ben poche case mandano save the date o offrono la possibilità digitale attraverso un click di ricordare l’evento sul proprio smartphone o computer. Victoria’s Secret è riuscita anche in questo intento e il suo show d’intimo (ahimé non più live su Internet ma solo sulla tv CBS) catalizza ogni genere di uomini e donne perché è pensato come intrattenimento non come passerella anonima di vestiti per addetti del settore. Le modelle si muovono come donne ma senza malizia e perfino la lingerie diventa spettacolo fruibile anche dai minori. Certo, si parla di una categoria merceologica speciale ma la casa di moda americana è la sola a pensare diversamente e ad avere così tanti appassionati di ogni sesso. 

 


E ci sono ancora mille modi per rendere una semplice alternanza di abiti e persone in un momento indimenticabile.

Una potrebbe essere dedicare al live postazioni speciali con spazi pop up a sorpresa, che magari restituiscano le sensazioni olfattive (come suggerito da Secondo Giacobbi, professore di psicologia clinica all’Università degli Studi di Milano) proprio per rendere un momento, magari trasmesso in 3D, in uno ancora più verosimile grazie anche a una visione a 360° e non più guidata da qualche telecamera.

Un cambio epocale, che farebbe uscire la moda dal lineare e piatto 2D per proiettarla in un universo onirico a più dimensioni dove le funzioni sociali, sessuali o storiche di quello che si indossa si fondono per assumere un nuovo valore.

 

Alessandro Argentieri. Dopo due borse di studio come redattore moda per CentoCose Energy (1993) e Madame Class Figaro (1995), ha lavorato come producer per “10 minuti di…” su Retequattro. A seguire un’esperienza con l’ufficio stampa Cerruti e Chanel per testi e traduzioni. Dal 2000 è stato (per sette anni) editor e producer per la Rai al Tg2 e Tg2-Costume e Società oltre che collaboratore per Marie Claire, mensile che l’ha assunto nel 2007 e a cui lavora. Si è laureato nel 2012 in Lingue e Letterature Straniere (Università Cattolica di Milano).

 

A cura di

Alessandro Argentieri

redattore moda news del mensile Marie Claire.

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