Slow Food: uscita la nuova guida alle migliori Osterie d’Italia del 2023
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Slow Food: uscita la nuova guida alle migliori Osterie d’Italia del 2023
22/11/2022

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Osterie d’Italia 2023: un viaggio alla scoperta dell’enogastronomia più autentica del nostro Paese arrivato ormai alla trentatreesima edizione.

Presentata, come ormai di consueto, al Piccolo Teatro Strehler, cuore della vita artistica e culturale milanese, la trentatreesima edizione di Osterie d’Italia, storico sussidiario del mangiarbene all’italiana (disponibile in tutte le librerie e sullo store online di Slow Food Editore dal 26 ottobre), torna a raccontare la ristorazione più autentica e di qualità, attenta alle proprie radici e al territorio.

Grazie a una rete capillare di 247 collaboratori sparsi in tutta in Italia, la nuova edizione, curata da Francesca Mastrovito ed Eugenio Signoroni, raccoglie 1730 indirizzi di osterie, agriturismi ed enoteche che punteggiano la penisola: dalle grandi città metropolitane, come Milano e Roma, ai luoghi più remoti, che rendono così unico il Belpaese, le osterie segnalate nella Guida contribuiscono a delineare un racconto autentico e genuino della grande ricchezza di biodiversità, cultura e tradizione enogastronomica territoriale.

Rispetto all’edizione precedente, ben 139 sono i nuovi ingressi, un segnale incoraggiante che testimonia il buono stato di salute di questo specifico segmento di ristorazione (ristorazione che, come ben sappiamo, ha subito e sta affrontando conseguenze importanti dovute prima alla pandemia e ora alla crisi energetica).

Immagine 1. La copertina della Guida (foto brandforum.it)

Chiocciole e novità

 
Accanto allo storico riconoscimento della Chiocciola, scelto da Slow Food sin dalla sua nascita come simbolo di lentezza, assegnato a 270 osterie che si contraddistinguono per l’eccellente proposta e per l’ambiente, la cucina e l’accoglienza in sintonia con i valori del buono, pulito e giusto che da sempre contraddistinguono l’associazione, e al riconoscimento della Bottiglia, assegnato a 450 locali che offrono una selezione di vini articolata, rappresentativa del territorio e con prezzi onesti, nella Guida 2023 trova spazio un nuovo riconoscimento, quello del Bere Bene, assegnato a 126 osterie che, accanto o in sostituzione a una valida proposta di vini, offrono una selezione di bevande (alcoliche e non), come birre artigianali, distillati, cocktail ma anche succhi e infusi.

Ai simboli già presenti, che guidano il lettore alla scoperta della proposta di ogni osteria, si sono poi unite due importanti novità, che intendono evidenziare ancor di più quelli che sono i punti di forza e le eccellenze del territorio proposte: il simbolo del pane, in primis, è stato assegnato a quelle osterie con un eccellente cestino del pane e di prodotti da forno, e il simbolo dell’olio, invece, a tutte quelle realtà che valorizzano l’olio extravergine d’oliva a tavola così come in cucina.

Chiudono l’itinerario alla scoperta delle eccellenze della tradizione enogastronomica gli inserti territoriali, selezioni dedicate a realtà con specifiche peculiari di ogni regione, come le pizzerie in Campania, le piadinerie in Emilia-Romagna o i mangiari di strada in Sicilia.

Sincerità e accoglienza: quando l’Oste diventa la chiave per la costruzione di un “brand” di successo

 

Immagine 2. Carlo Petrini, fondatore Slow Food (foto brandforum.it)

Un videomessaggio da parte di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, ha inaugurato l’evento, ricordando agli osti quanto l’accoglienza sincera sia uno dei pilastri sui quali è stata costituita e su cui si regge la Guida.

I curatori della Guida hanno voluto soffermarsi sul valore dell’accoglienza, che vuol dire garantire alla vostra clientela un atteggiamento di benevolenza nell’accoglierli nelle vostre osterie. Non creiamo situazioni di accoglienza non vere. L’accoglienza migliore, quella più sentita, è quella che esprime la vostra identità e l’identità del vostro locale” – ha affermato Petrini, rivolgendosi alle ostesse e agli osti presenti in sala.

Sul palco, arredato da tavoli apparecchiati con tovaglie a scacchi bianchi e rossi, a ricreare l’atmosfera conviviale tipica delle osterie, è salita poi Barbara Nappini, Presidente di Slow Food Italia, che ha ribadito come la sovranità alimentare, di cui tanto si è dibattuto in questi giorni, non sia affatto da confondere con l’autarchia, ma è “il diritto dei popoli a determinare le proprie politiche alimentari senza costrizioni esterne legate a interessi privati e specifici”. In altri termini, parlare di sovranità alimentare significa mettere al centro il bene comune piuttosto che interessi specifici di alcuni, disegnando un futuro migliore a partire dal cibo per tutti.

Il ruolo degli osti e delle ostesse, quindi, è cruciale, perché, insieme ai produttori e agli agricoltori, costruiscono sistemi locali del cibo che tutelano la biodiversità, valorizzano i prodotti e fanno economia grazie ai mercati contadini, alle visite in fattoria e ai gas.

Quella degli osti e delle ostesse, ancor prima che una proposta enogastronomica, è una proposta umana all’insegna della condivisione della storia e della cultura di una comunità.

Gli elementi che non possono mancare nelle Osterie di oggi

 
Insieme ai curatori e a Matteo Caccia, conduttore radiofonico e storyteller, oltre che moderatore dell’evento, sono saliti sul palco alcuni osti e ostesse che hanno aiutato, attraverso la propria testimonianza, a tracciare la mappa dell’accoglienza, un prezioso strumento che aiuta a delineare quelli che sono i punti cardine sui quali le osterie poggiano e intorno a cui ruota il lavoro quotidiano dell’oste.

Immagine 3. La mappa dell’accoglienza (foto Slow Food)

Dalla prenotazione all’accoglienza in sala, dalla scelta delle materie prime fino ad arrivare alla figura dell’oste, cuore pulsante di un luogo che ha, per natura, l’innata capacità di far sentire a casa le persone, l’esperienza che si può vivere in queste osterie non può che essere unica, così come lo sono i “padroni di casa”.

Quest’anno, il premio come Miglior Oste è andato a Roberto Casamenti e Alessandra Bazzocchi de La Campanara, che a Pianetto di Galeata (FC), in Romagna, accolgono quelli che, nel corso degli anni, sono diventati ormai dei cari amici, prima ancora che dei clienti.

Immagine 4. Roberto Casamenti e Alessandra Bazzocchi de La Campanara (foto Slow Food)

Anna Scavuzzo, vicesindaco di Milano, ha concluso poi la presentazione, sottolineando come questa fotografia enogastronomica altro non è che il racconto autentico di un Paese fatto di città e borghi, di luoghi densi di vita e di storia.

Il fatto che questo evento si tenga a Milano, ormai da diversi anni, è indice di una profonda comunione tra il Comune e Slow Food. Il tema delle food policy non è più solo un appannaggio delle amministrazioni, ma coinvolge tutti: sempre più città, infatti, sono impegnate per fronteggiare in prima linea il cambiamento climatico attraverso la trasformazione del sistema alimentare.

La città di Rio de Janeiro, nei giorni scorsi, ha ospitato l’ottava edizione del Global Forum del Milan Urban Food Policy Pact, dove 250 città da tutto il mondo si sono confrontate e sono state premiate quelle che più si sono impegnate durante quest’anno nel mettere in campo pratiche di successo per creare sistemi alimentari sostenibili. Non è un caso che fosse presente proprio Carlo Petrini, fondatore dell’associazione, per confrontarsi ancora una volta a partire dai temi della sincerità e dell’accoglienza, qualità che un sindaco che desideri far sentire a casa tutti dovrebbe fare proprie.

La parola della curatrice di Osterie d’Italia

 
Oltre ad aver preso parte alla presentazione, Brandforum ha avuto anche il piacere di intervistare Francesca Mastrovito, curatrice della Guida insieme a Eugenio Signoroni.

Pugliese di nascita e milanese d’adozione, nel 2014 Francesca ha l’opportunità di frequentare un Master all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (CN), nata e promossa proprio da Slow Food con la collaborazione delle regioni Piemonte ed Emilia-Romagna nel 2004, dove ha la fortuna di incontrare e di relazionarsi con persone provenienti da tutto il mondo, anche con esperienze molto differenti dalla sua, per cui si viene a creare un dibattito, ancor prima di una pedagogia e una didattica, all’interno del quale le tematiche di Slow Food assumono una forma ancor più contemporanea e attuale.

Atterrata poi in Osteria Francescana (per leggere l’articolo dedicato, CLICCA QUI), alla corte del tristellato Massimo Bottura, la Mastrovito si occupa dei contenuti, quindi dei libri e delle interviste, in un momento molto interessante, quando l’Osteria inizia ad ampliarsi e diventa una famiglia di realtà accumunabili sempre però sotto lo stesso “cappello”.

“Dalla scrittura al parlare di cibo era quasi naturale prendere come punto di riferimento e di arrivo Slow Food Editore, per cui mi occupo della parte di ufficio stampa e di produzione di alcuni volumi da tre anni” – racconta Francesca – “dal coordinare tre o quattro persone sono passata a doverne gestire 250. Slow Food, infatti, è una realtà molto grande e complessa, per cui la parte associativa di tutte quelle persone che svolgono le regolari attività sul territorio, che sono effettivamente i nostri occhi sul territorio, perché possono aggiornarci sulle novità, farci delle segnalazioni che noi prendiamo, raccogliamo e poi restituiamo ai collaboratori, è molto importante. Si tratta di una rete ben avviata e soprattutto capillare, e questo, secondo me, è uno dei punti distintivi della Guida rispetto a qualsiasi altra guida: il fatto che la Guida venga scritta grazie a persone che vivono nel territorio la rende davvero capillare, che è un elemento speculare rispetto a quella che è appunto la rete di Slow Food, per cui è veramente unica in questo”.

La Guida è nata con lo spirito di censire tutte quelle osterie e quella tipologia specifica di ristorazione in cui si promuove la buona cucina territoriale, in cui il territorio è protagonista, ed è qualcosa che tuttora definisce le linee guida e le motivazioni per cui le osterie entrano nella Guida, ovvero quella di essere particolarmente rappresentative del territorio” – spiega la curatrice – “Certamente si deve mangiare bene, ma i piatti, l’accoglienza e l’ambiente devono raccontare quello che accade nella comunità, e per comunità intendo la rete di ristoratori, di produttori e allevatori della zona ma anche la comunità locale: ci sono moltissime situazioni, ed è motivo d’orgoglio della Guida, in cui le osterie sono in borghi, in luoghi molto piccoli in cui è vitale la loro presenza perché iniziano a diventare trainanti anche come meta turistica, ma esistono e resistono anche per la comunità stessa”.

Ma quali sono gli ingredienti che rendono unica un’osteria? Per la curatrice, la parola d’ordine è “empatia”, da intendersi non a livello emotivo quanto più a livello di comprensione del grado di apertura della persona che si ha di fronte: se tra persone normali questa sensibilità si sviluppa nel tempo e con la confidenza, gli osti hanno l’innata e immediata capacità di capire esattamente quanto una persona abbia voglia di interagire oppure come una persona abbia deciso di approcciarsi a quell’esperienza in osteria.

Se penso al mondo del fine dining da cui provengo, la cosa è molto diversa: è ovvio che ci sia sempre un aspetto di convivialità, però il commensale tiene molto il ritmo della cucina, che comanda e detta l’esperienza” – sottolinea Francesca. In osteria, invece, è l’esatto contrario: è l’ospite, infatti, che determina l’esperienza e l’oste lo accompagna durante tutto il viaggio, facendolo sentire sempre a proprio agio e mai intimidito.

Gli italiani, soprattutto nei confronti di quella che è la cultura enogastronomica, tendono a sviluppare un senso di tutela oppressivo, che blocca qualsiasi evoluzione e rende quel piatto non sostenibile, o comunque non sensato, per quella che è la situazione attuale.

Quello che questa trentatreesima edizione, così come le precedenti, cerca di fare, quindi, è aiutarci a capire che la tradizione non va tutelata preservandola sotto una teca di vetro, ma consentendole, invece, di evolvere, di restare sempre attrattiva, fresca, reale e realistica.

Se è vero, come affermava Pellegrino Artusi, scrittore, gastronomo e critico letterario, che l’unicità del nostro Paese risiede nella sua diversità, non ci deve allora stupire che non esista affatto un archetipo di osteria: dai masi del Trentino-Alto Adige alle osterie siciliane, passando per una regione ricchissima dal punto di vista enogastronomico come la Toscana, che presenta enormi differenze dal litorale all’appennino, la consapevolezza che questa Guida regala è proprio quella della diversità.

Mi piacerebbe moltissimo che questa diversità venisse celebrata e riconosciuta sempre di più e mi piacerebbe coinvolgere molte più persone della mia età nella squadra dei collaboratori per dare più amplificazione a questa consapevolezza, perché secondo me è fondamentale capire qual è il confine fra la teca e l’evolversi” – ha concluso la curatrice.

Capire come mantenere viva la tradizione, senza soffocare però la creatività e le idee degli osti e delle ostesse, allora, è il primo passo da compiere per evolvere e mantenere viva questa ondata, e la prima cosa da fare, ovviamente, è esserne consapevoli.

A cura di

Elisa Comazzi

Appassionata di arte, fotografia e comunicazione, ha da poco concluso il suo percorso accademico, laureandosi in Comunicazione per l’Impresa, i Media e le Organizzazioni Complesse presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore con una tesi dal titolo “Generazione Z ed Employer Branding: come coinvolgere i giovani talenti nelle organizzazioni complesse”.

Collabora con la Redazione di Brandforum dal gennaio 2022, è stata la copywriter di TEDxUNICATT e attualmente ricopre il ruolo di Junior Digital Communication Specialist in OpenKnowledge, società del gruppo BIP.

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