Brand Advocacy. Ovvero come far fare al customer il lavoro del marketer
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Brand Advocacy. Ovvero come far fare al customer il lavoro del marketer
20/01/2014

Filippo Mattia Pollavini, Guest di Brandforum.it
Definizione di una strategia di Brand Advocacy: quali gli elementi chiave, i protagonisti e gli ambienti favorevoli al relativo sviluppo.

Lo sconfinato mondo del digital marketing e dei social network ha aperto le porte a strategie estremamente innovative e campagne di Branding sempre più raffinate.

Ho assistito recentemente ad una conferenza di Andreas Weigend, ex Chief Scientist di Amazon, che faceva notare come si sia passati da un mondo in cui valeva l’uguaglianza markets = conversations ad uno in cui invece vale conversations = markets. L’advocacy, come vedrete in questo articolo, attinge principalmente da questo: le conversazioni, i commenti, le idee che l’audience di un brand produce sul web.

 

Una strategia di Brand Advocacy consiste in un sistema di misure poste in essere da un'organizzazione per individuare coloro che amano un brand e dar loro l’opportunità di promuoverlo, incentivandoli a farlo. Ai Brand Advocates dunque non viene richiesto altro che fare il “vecchio mestiere” del marketer. Letteralmemente promuovere il Brand, attraverso la word of mouth, online e offiline.

 

 

 

1. Internet e Social Network: terreno di coltura della Brand Advocacy


Innanzitutto bisogna partire da un dato di fatto. Internet e’ progressivamente diventato il principale vettore delle politiche di marketing e branding della maggior parte dei marchi al mondo. Per quanto in particolare riguarda le campagne e le strategie customer-driven, internet dà possibilità maggiori in termini di misurabilità e tracciamento dei comportamenti. Il questo senso il behavioural marketing è interessante per un marketer tanto quanto però può rivelarsi intrusivo per i suoi utenti. Molti sono infatti coloro ancora non in grado di accettare il web in questa sua, necessaria, dimensione “reciproca”. Ossia nell’esigenza da parte dei players “che stanno dall’altra parte”, gli advertiser, di conoscere ed intercettare interessi e bisogni dei loro clienti.

 


E cosi, le occasioni di contatto, i touchpoints brand-consumatore / prodotto-consumatore, che una volta potevano contarsi sulle dita di una mano, sono aumentate a dismisura. Soprattutto grazie alla molteplicità di forme e presenze che i marchi possono assumere su internet. Siti web, profili su social network, display e email advertising etc. etc. Ecco dunque un elenco essenziale ma completo, dei punti di contatto su cui le campagne più complesse e interessanti di Brand Advocacy possono fondare in maniera strategica e coordinata i loro piani. Fase Pre-acquisto: Online e Offline Advertising; Social Marketing; Sito Web; Direct Email; Coupons o Incentivi; Deals e Promozioni. Durante l’acquisto: Packaging, Display nei punti di acquisto; Agenti di vendita. Post-acquisto: Performance del Prodotto; Customer Service; Newsletters; Loyalty Programs, etc.

 


Josh Graff, Direttore EMEA di LinkedIn, ricorda sul sito marketingmagazine.co.uk che le aziende non possono e non devono lasciare l’Advocacy al caso. Sì, perché è normale e ovvio che clienti entusiasti ed appassionati che promuoveranno spontaneamente i loro marchi preferiti ci saranno sempre: che ci si attivi per spingerli a farlo, è un altro discorso. La rinuncia nel predisporre campagne ad-hoc per attivare queste persone, può infatti risultare in importanti perdite di potenziali ricavi, o in mancate occasioni di contatto con i propri (nuovi) clienti.

 

 

2. I protagonisti della brand advocacy: quali Brand, quali consumatori


Ma entriamo un po’ più nel merito. Rob Fuggetta definisce Brand Advocate un cliente altamente soddisfatto che si impegna autonomamente per promuovere i prodotti che ama. C’è però da aggiungere che la soddisfazione in sè per un brand, può non essere sufficiente. Un advocate infatti deve provare una tale passione per il marchio da volerlo consigliare alla propria cerchia di amici e conoscenti.

 

Ted Rubin, Social Marketing Strategist e Brand Evangelist, sottolinea che gli advocates devono essere messi dalle aziende su di una più alta posizione rispetto a quella che talvolta ricoprono. Sono vere e proprie risorse, che da una iniziale dinamica give-give devono passare ad una ancor più profittevole dinamica learn-learn. Essi – prosegue – devono essere visti internamente all’organizzazione come delle co-leads in grado di dare consigli utili e spingere eventualmente nella giusta direzione per l’innovazione stessa del brand.

 

Attenzione però, non siamo tutti Brand Advocates e non tutti i brand sono adatti ad essere “advocati”.  L’Advocacy non è una risorsa di marketing gratuita o una “free extension of your marketing team” come è stato da alcuni sottolineato. È semplicemente un’occasione, una risorsa utilizzabile e potenzialmente redditizia, che deve essere individuata, ascoltata, compresa ed elaborata. Quando parliamo di advocates infatti, parliamo di persone, come me, come voi. Loyal Customers che spontaneamente e senza nessuna forzatura specifica intendono far conoscere un certo brand o solo il loro amore per esso, ai loro amici. Queste persone devono anche avere le caratteristiche caratteriali e personali per far sì che il loro suggerimento venga ascoltato. Ecco dunque quali devono essere le caratteristiche principali degli advocates: passione e loyalty per il brand e alto livello di engagement, soprattutto sui social network. Ottima reputazione e influenza all’interno della propria cerchia di conoscenze/amicizie oltre ad un’identità tra brand values e caratteristiche umane/personali dell’Advocate.

 

 

3. Come si costruisce una campagna di advocacy


Per costruire una campagna di Brand Advocacy è indispensabile capire quali sono i drivers, ossia le caratteristiche del brand che lo rendono unico. Individuare gli elementi che ispirano passione è il primo passo per costruire una strategia che si basi su ciò che di distintivo il marchio effettivamente dispone. E così bisogna capire cosa veramente ispira i potenziali advocates ad agire, ascoltandone le opinioni e i commenti, in particolare sui social network. Per esempio, se stessimo lavorando ad una strategia per una catena alberghiera di cui sappiamo i clienti apprezzare le colazioni particolarmente qualitative e gustose, creare una campagna con “la colazione” protagonista, potrebbe facilmente coinvolgere ed attivare i più appassionati, gli advocates. E’ necessario altresì disporre di uno scoring system sia quantitativo che qualitativo. Uno strumento che possa leggere, comprendere e tradurre in dati oggettivi le conversazioni (i markets di cui si parlava all’inizio). Questo sia per comprendere i possibili mutamenti di opinione, sia per ottenere una consapevolezza effettiva e strutturata di ciò che i propri clienti pensano, scrivono e condividono sul brand.

 

Infine, la parte più interessante. Quella creativa, senza regole. Alla fantasia dei marketer e alle “doti” dei brand, l’arduo e bellissimo compito.

 

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Filippo Mattia Pollavini. Web Marketing Manager presso Raffles Media ltd a Londra. Si occupa di Performance Marketing e Online advertising ed è appassionato di Digital Strategy e tecniche innovative di Branding.
https://twitter.com/fm_pollavini

 

 

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