Retail 4.0: le nuove regole per gestire al meglio i punti vendita nell’era digitale
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Retail 4.0: le nuove regole per gestire al meglio i punti vendita nell’era digitale
18/12/2018

Redazione Brandforum.it
Molti punti vendita fisici hanno chiuso i battenti, eppure diversi “pure digital players” (da Amazon ad Alibaba) stanno entrando in questo mercato ritenuto in crisi. Come mai?

Il nostro mondo cambia alla velocità di un algoritmo e l’unica costante è il cambiamento stesso.

 

La rivoluzione digitale ha cambiato molti dei presupposti su cui si è fondato il mondo del retail negli ultimi decenni. Negli anni più recenti, un numero elevatissimo di punti vendita in tutto il mondo ha chiuso i battenti, tanto che alcuni osservatori si sono spinti a parlare di “apocalisse”.

 

A un primo sguardo si direbbe quindi che il retail tradizionale versi in condizioni molto critiche e, dato il crescente successo dell’e-commerce, si tenderebbe a additare proprio la rivoluzione digitale come principale responsabile di questo declino.

 

 

 

 

Tuttavia, nello stesso periodo, giganti del commercio elettronico del calibro di Amazon e Alibaba hanno deciso di aprire negozi fisici, sia sperimentando direttamente nuovi format, sia acquisendo catene nate nell’era pre-digitale.

 

E la stessa Google, nel prossimo futuro, potrebbe guardare con interesse all’apertura di flagship store in cui mettere in luce il meglio della propria offerta di prodotto, inclusi gli smartphone Pixel, i visori per la realtà virtuale Daydream, il termostato intelligente Nest e l’assistente virtuale Home.

 

A questo punto la questione si fa più complessa: perché mai i cosiddetti pure digital players, privi delle inefficienze connesse alla gestione degli store fisici, dovrebbero rinunciare alla “purezza” per entrare in un mercato ritenuto in crisi?

La risposta risiede nella superficialità dell’assunto secondo cui il settore sarebbe inesorabilmente in declino. Infatti, anche nelle stime più generose, le transazioni digitali nella vendita al dettaglio non superano oggi il 20% di quelle totali. Indubbiamente gli acquisti online sono cresciuti in maniera impressionante negli ultimi anni, ma sembra quantomeno avventato evocare addirittura un’apocalisse e decretare la morte imminente del retail fisico. Occorre invece rivedere il modello tradizionale – nel retail come in altri settori – alla luce dei cambiamenti indotti dall’uso degli strumenti digitali da parte di un numero sempre maggiore di persone.

 

Il percorso d’acquisto del consumatore è stato tradizionalmente rappresentato in modo lineare, ipotizzando che all’insorgere di un bisogno o al manifestarsi di un desiderio dovesse corrispondere uno stimolo di comunicazione in grado di generare dapprima la cosiddetta awareness (attenzione o conoscenza), poi la familiarity (familiarità o interesse) e la consideration (considerazione o desiderio), e infine il purchase (l’atto d’acquisto); e auspicabilmente il riacquisto e il passaparola positivo. Con il proliferare dei “punti di contatto” (touchpoint) digitali, il customer journey ha decisamente mutato forma, configurandosi sempre meno come una sequenza di fasi e sempre più come un reticolo di momenti che si rivelano più o meno decisivi a seconda della tipologia di bene o servizio, nonché del profilo del consumatore. La rilettura del modello di funzionamento del retail deve quindi tenere in considerazione questo cambiamento e ridefinire il ruolo del punto vendita fisico all’interno di un percorso d’acquisto più articolato e frammentato, arrivando anche a mettere in discussione – se necessario – la stessa ragion d’essere del negozio.

 

(Ph. Giuseppe Stigliano)

 

 

Negli ultimi dieci anni, circa 3 miliardi di persone nel mondo hanno progressivamente accolto nelle loro vite lo smartphone, la cui peculiarità rispetto ai telefoni della precedente generazione (definiti feature phones) è la connessione a Internet. Un numero quasi equivalente di persone a livello globale risulta iscritta ad almeno un social network. La combinazione di questi due aspetti ci restituisce un quadro eclatante: quasi la metà della popolazione mondiale è online, raggiungibile in qualsiasi momento, ed è in grado di interagire in tempo reale con altre persone e con le aziende.

 

Due elementi che da soli basterebbero a riscrivere le regole del gioco.

 

Fino a pochi anni fa, la possibilità di dialogare con un’azienda era limitata alla corrispondenza epistolare e al servizio clienti telefonico. Oggi invece avviene in tempo reale, e per di più in un contesto in cui gli altri utenti, la concorrenza, i media, le istituzioni sono di fatto spettatori con facoltà di intervenire a loro volta. Il mercato è diventato più orizzontale, inclusivo e social; le informazioni circolano a una velocità straordinaria e coloro che fino al recente passato si potevano definire “destinatari” delle campagne di marketing e comunicazione oggi ne sono co-autori. Non solo, gli stessi prodotti e servizi, se è vero che gli acquirenti possono esprimere così facilmente la propria opinione, vengono in molti casi co-prodotti, co-creati, co-disegnati. Queste evoluzioni assegnano alle aziende e ai brand un ruolo nuovo: è divenuto indispensabile offrire prodotti che corrispondano sempre alle aspettative, dimostrare correttezza verso tutti gli attori della catena del valore, agire in armonia con l’ambiente e le persone, essere presenti in modo significativo in tutti i punti di contatto e comunicare in modo coinvolgente, saper dialogare (e quindi saper dare ascolto), personalizzare la relazione con i clienti senza invadere la loro privacy, valorizzare chi dimostra fedeltà, favorire e ricompensare l’advocacy, ossia coloro che segnalano e raccomandano ad altri il brand e i suoi prodotti.

 

(Una delle 10 regole del Retail 4.0 illustrata da Stigliano – Ph. Giuseppe Stigliano)

 

 

Appare abissale la distanza tra questo modello e il “monologo” che aveva contraddistinto l’era predigitale, e si impone di conseguenza la necessità di un approccio diverso, con nuove competenze e strumenti da integrare a quelli tradizionali. I marketer sono chiamati a comprendere appieno gli effetti della cosiddetta trasformazione digitale, e quindi a padroneggiarne le dinamiche, individuando le ripercussioni e le opportunità per la propria azienda.

 

Per trasformazione digitale si intende un processo – innescato dall’avvento e dalla diffusione delle tecnologie digitali – per cui le aziende si adattano ai cambiamenti della domanda e del mercato, elaborando processi, strumenti, modelli di business, prodotti e servizi innovativi che fondono il digitale con l’analogico, con l’obiettivo di migliorare le performance da un punto di vista sia organizzativo che commerciale.

 

In questa visione, il digitale è come l’elettricità: è un “abilitatore” invisibile che consente di dar vita a prodotti, servizi ed esperienze che in alcuni casi si integrano con quelli preesistenti, in altri li sostituiscono tout court. Se si assume questa visione, sarà più facile per l’azienda e per il brand interpretare in modo corretto e potenzialmente vantaggioso la trasformazione in atto. E si eviterà il rischio di confinare il digitale a una categoria di “strumenti innovativi”, o di confondere il mezzo con il fine, come troppo spesso capita. Il consumatore ha assunto il ruolo di interlocutore, un potere che esercita per influenzare l’operato delle aziende, obbligandole a rivedere la funzione dei singoli punti di contatto all’interno del customer journey.

 

Il retailing rappresenta un aspetto di vitale importanza in questa dinamica: è la fase in cui si concretizzano tutti gli sforzi dell’azienda e, verosimilmente, si appagano bisogni e desideri del cliente/consumatore. Il punto è che questo snodo non può più essere individuato soltanto in un negozio fisico. Anzi, sempre più spesso, specialmente per alcune categorie di prodotti e servizi, le transazioni avvengono su una piattaforma digitale, e lo store riveste una funzione diversa, in certi casi più simile a quella di uno showroom in cui veicolare un’esperienza ed esibire, promuovere e spettacolarizzare la merce.

 

In definitiva: il mondo del Retail ha bisogno di ridefinire le regole del gioco, alla luce delle trasformazioni che contraddistinguono l’Era digitale. Ed è proprio con questo intento che nasce Retail 4.0 | 10 Regole per l’Era digitale il recente libro edito da Mondadori e scritto dal celebre Professor Philip Kotler e da Giuseppe Stigliano, docente di Retail Marketing Innovation presso diverse Università e business School.

 

(Le 10 regole #BE del Retail 4.0 – Ph. Giuseppe Stigliano)

 

Nel volume sono riportate integralmente anche le interviste a 23 top manager internazionali che hanno contribuito con il loro punto di vista a validare e arricchire le tesi dei due autori.

 

(Il Prof Kotler con Giuseppe Stigliano in occasione della presentazione del loro volume a Milano – Ph. Giuseppe Stigliano)

 

Philip Kotler

È considerato il maggiore esperto di marketing di tutti i tempi. Professore di International Marketing presso la Kellogg School of Management della Northwestern University di Evanston (Illinois) ha scritto oltre 100 articoli scientifici e più di 60 libri, tra cui Marketing Management, adottato come manuale di riferimento nelle principali università e business school di tutto il mondo e giunto alla quindicesima edizione (la prima risale al 1967).
Una ricerca del “Financial Times” assegna a Kotler il quarto posto nella classifica dei Most Influential Business Writers & Management Gurus.
Contatto mail: p@retailfourpointzero.com

 

Giuseppe Stigliano
Imprenditore, manager e docente presso diverse università e business school italiane. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Economia e Marketing compiendo gli studi tra l'Europa e gli Stati Uniti. È docente di Retail Marketing Innovation e autore del libro Retail 4.0, 10 regole per l’Era digitale edito da Mondadori e scritto a quattro mani con il guru internazionale Philip Kotler. Dal 2015 è Executive Director Europe di AKQA, società di consulenza del gruppo WPP specializzata in innovazione digitale e brand experience.

Contatto mail: g@retailfourpointzero.com

 

 

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