#SBF15: il racconto dell’evento
Slow Brand
#SBF15: il racconto dell’evento
17/06/2015

Alessandra Olietti, Redattore senior di Brandforum.it
Un Festival denso di spunti di riflessione nati da un confronto sulle dinamiche slow applicate ai vari contesti aziendali, con esempi degni di nota. La premiazione dei migliori Slow Brand e il lancio della prossima attività di ricerca.

È ormai calato il sipario sulla prima edizione di Slow Brand Festival, promosso dal nostro Direttore Patrizia Musso in collaborazione con l’Associazione Vivere con Lentezza (http://www.vivereconlentezza.it/), fondata da Bruno Contigiani e con la partecipazione della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli per quest’anno partner scientifico dell’iniziativa e anche prestigiosa location della serata.

Il Festival, dedicato al concetto di Slow Brand – teorizzato nel 2013 da Patrizia Musso nel suo volume “Slow Brand. La gestione socio-economica della marca contemporanea” (con nuova edizione ampliata poi nel 2017 https://www.francoangeli.it/Ricerca/scheda_libro.aspx?Id=23812), si è contraddistinto per essere un momento di incontro e riflessione partecipata sulla maturità del fenomeno Slow in Italia, valorizzando grandi e piccoli Slow Brand presenti nel panorama aziendale italiano.

Una riflessione che ha coinvolto i numerosi partecipanti all’evento (giornalisti, esperti di comunicazione, studenti e accademici, rappresentanti di varie realtà aziendali..) ma anche gli utenti della community online di Brandforum che hanno avuto modo di seguirci sulle nostre pagine social (Facebook e Twitter) grazie all’hastag dedicato #SBF15.

I concetti cardine dell’evento

Molti i concetti cardine (che abbiamo trasformato subito in #) attorno ai quali si sono svolti i differenti momenti di confronto che hanno animato Slow Brand Festival: uno di questi è stata sicuramente #condivisione. A partire infatti dalla lecture inaugurale proposta dalla Prof.ssa Juliet Schor (sociologa e docente al Boston College), ci siamo concentrati sul tema del #sharingEconomy, sull’importanza della condivisione per migliorare il benessere della collettività all’interno della quale siamo inseriti, non solo come aziende ma anche come cittadini. L’intervento si è focalizzato sia su realtà profit, sia no profit citando come esempi i casi di Couch Surfing una piattaforma per il turismo social, Airbnb per la condivisione degli spazi abitativi e Freecycle un progetto per il riutilizzo di beni. La Prof.ssa Schor ha sottolineato l’importanza dell’utilizzo delle cosiddette “sharing platforms” ovvero delle piattaforme di condivisione create con l’obiettivo primario di far circolare i beni e i servizi, e permetterne quindi lo scambio dando vita a nuove forme di cooperazione a tutti i livelli di business (principio di uguaglianza). Uno spunto di riflessione concreto per permettere alle aziende di portare nuove forme di valore condiviso all’interno della comunità in cui si inseriscono, in piena ottica slow.

Tavola Rotonda
Schor ha insistito su un punto in particolare: “la sharing economy come forma di iper-capitalismo o come reale alternativa dal punto di vista sociale e sostenibile?” che ci ha permesso di dare avvio alla Tavola Rotonda moderata dal giornalista ed esperto di CSR – Andrea Di Turi – che ha lanciato il dibattito partendo da “quanto è sostenibile la sharing economy oggi?” Per sottolineare quanto sia rilevante per un’azienda, ma non solo, proporsi come modello sostenibile, ha citato un tweet che riassumesse il suo pensiero “Non c’è alternativa sostenibile alla sostenibilità”.

Sullo stesso filone è intervenuta Erika Munno, ricercatrice di Spazio Lavoro – Fondazione Feltrinelli, che si è soffermata su quanto sia fondamentale per un azienda avere una “libertà di costituzione economica”, che si traduca in rispetto dei dipendenti e del contesto in cui l’azienda si inserisce. Munno attraverso il progetto Co.Mantova seguito in prima persona, dove vengono messe in primo piano le regole per permettere ai vari attori coinvolti (aziende,  istituzioni,  cittadini) di creare valore condiviso, ha dimostrato come oggi l’azienda sia sempre più una realtà Slow, responsabile della condivisione dei suoi valori con gli stakeholder di riferimento. Torna quindi il concetto di #condivisione, possibile in questo caso  grazie alla comunicazione (com-munis): l’impresa deve mettere in comune il suo “fare” coi i soggetti verso i quali indirizza le sue attività (consumatori in primis). Un esempio che ci mostra come oggi più che mai sia fondamentale creare insieme il #cambiamento attraverso progetti a lungo termine, in piena ottica Slow.

Strettamente legato al precedente è l’intervento di Laura Ferri – ricercatrice presso Altis/Università Cattolica – che si è focalizzata sul rapporto tra slow e #sostenibilità, sottolineando come le aziende debbano riconquistare tempo per analizzare le implicazioni delle scelte che hanno fatto in precedenza nei confronti dei vari stakeholder (dalla qualità del lavoro, fino alla vita privata del collaboratore). Ciò che è necessario oggi è non fermarsi solo al business, ma estendere il concetto di responsabilità ai vari aspetti, per esempio capire come fare per migliorare il valore della comunità in cui si inserisce l’impresa, capirne i bisogni e risolverne i problemi esistenti. Per fare questo serve un #allungamento dei tempi di contatto tra i vari attori coinvolti, territorio compreso, oltre che ad una dilatazione degli spazi che ci portano a pensare in termini di “azienda aperta”.

L’importanza della creazione di valore condiviso grazie ad una sempre maggiore #apertura dell’azienda verso i suoi pubblici di riferimento è un tema che più volte è stato toccato all’interno di Slow Brand Festival, ed è stato affrontato anche da Maria Rosa Ambroso – Space Planner presso lo Studio Camaleonte – che ci ha illustrato quanto sia fondamentale instaurare solidi processi di relazione tra le persone in azienda. Un punto del suo intervento che ci ha particolarmente colpito è che “prima le aziende erano solide e le persone liquide, ora il concetto si è capovolto”: il dipendente in quanto uomo occupa oggi una posizione centrale in azienda, da ciò la necessità imminente di cercare degli spazi “altri” per l’uomo all’interno dell’impresa dove possa essere valorizzato. Abbiamo visto come molte aziende stanno infatti seguendo le strategie lanciate da Google, in cui a fianco alle scrivanie e alle sale riunioni sono stati predisposti spazi ludici in cui il dipendente possa rilassarsi. La difficoltà attuale è far capire in azienda l’utilità di queste proposte che permettano di “assecondare la naturale indole delle persone”: serve fare quindi un lavoro a monte che sia utile e condiviso, permettendo a tutti di avere una visione globale dell’azienda, così da condividere i valori, trasmettere conoscenza e instaurare #relazioni efficaci e durature in grado di aumentare la motivazione dei dipendenti, la loro fiducia e la consapevolezza di valere.

Come è possibile fare tutto questo se non rallentando? Bruno Contigiani – fondatore dell’Associazione Vivere con Lentezza – ha esordito su come oggi siamo immersi in una società lenta, intesa però in senso negativo (fatta di corporazioni e mentalità lenta diffusa, che non porta a progredire). Al contrario bisogna parlare di lentezza come stile di vita per raggiungere gli obiettivi di cui abbiamo parlato poco sopra, una #lentezza che sia sinonimo di leggerezza e di #ascolto, che ci permetta di fermarci a riflettere per capire in che direzione stiamo andando per “essere felici nel contesto in cui siamo.. anche coloro che lavorano nel mondo della comunicazione hanno il diritto di essere felici”. Ecco perché come diceva Ferri è necessario che le aziende si facciano delle domande e si diano delle risposte non solo in termini comunicativi ma anche di azioni concrete di credibilità, per esempio migliorando la vita dei loro dipendenti e non obbligandoli a tenere ritmi insostenibili che non permettono di creare contenuti di valore.

Un tema decisamente critico, perché come ha sottolineato Andrea Ferrazzi – fondatore del Movimento Slow Communication – oggi siamo in uno stato di iper-connessione, che si traduce in uno stato di perenne ansia, attorniati da strumenti che in un certo senso ci obbligano a comunicare. Ecco perché serve essere Slow: per cercare un #equilibrio nei vari ambiti, senza essere schiacciati dal flusso dei contenuti, cercare di produrre una comunicazione efficace frutto di un contatto di qualità con gli altri e con le loro esigenze. Ricercare allora una dimensione umana alla comunicazione, per ottenere obiettivi di business in linea con il contesto nel quale siamo inseriti (creare valore condiviso).

Capire quindi le esigenze degli altri per migliorare la qualità della vita come sottolineato anche da Pino Barbiera – publisher di Blogo.it – che ci ha proposto un interessante sguardo Slow sul web: abbiamo oggi a disposizione degli strumenti veloci che ci possono aiutare a ottimizzare la qualità della vita (per esempio lavorare da casa). Anche sul web, piattaforma fast per eccellenza, l’utente cerca oggi degli “spazi altri” in cui fermarsi per approfondire i contenuti che gli vengono proposti, dilatando il contatto con i brand di riferimento: ecco quindi l’esigenza di creare nuovi prodotti di comunicazione e quindi #contenuti Slow basati su uno #storytelling sapientemente costruito, la cui trama deve essere elaborate e studiata in ogni sua parte.

Slow Brand Talk
Dopo la Tavola Rotonda in cui sono state affrontate le tematiche cardine all’interno del mondo Slow, #SBF15 è entrato nel pieno del suo svolgimento con Slow Brand Talk, moderato da Patrizia Musso. Un tema ricorrente è stato quello del #coraggio da parte dei brand di intraprendere iniziative Slow, fatte a volte anche di piccoli numeri, in un mondo che sembra troppo concentrato sulla quantità al posto della qualità.

Una tra le aziende coinvolte in questo talk è stata Mulino Bianco che, come ci ha illustrato Francesca Resta – Digital Manager Mulino Bianco – sente sempre più preponderante l’esigenza di rallentare e avvicinarsi alla comunità dei suoi consumatori, mantenendo saldi i valori sui cui si è costruito la sua brand image, ma condividendo al tempo stesso i progetti aziendali con la gente comune (creare valore condiviso) con l’obiettivo di creare “relazioni slow in tempi fast”. Uno di questi progetti è “Nel Mulino che vorrei”, nato per aprire le porte del brand alla gente comune e mettere in pratica il fenomeno della #co-creazione in cui le migliori idee proposte dai consumatori si trasformano in realtà grazie all’intervento dell’Azienda. Un esempio di impresa Slow che sa rimanere al passo dei cambiamenti economici e sociali (consumatori sempre più esigenti e informati), che vuole porre punti di contatto tra impresa e comunità impegnandosi “in prima persona” come brand, che vuole mettersi in gioco e dedicare quindi tempo e pazienza a comunicare anche con i singoli utenti sfruttando le potenzialità che la piattaforma web può offrire in quest’ottica.

Attitudine Slow è anche quella adottata da Boiron, che ha deciso di #rallentare e seguire nuovi ritmi puntando sull’internal branding, in particolare sulla progettazione della sede aziendale proponendosi come Slow Factory. Uno spazio, come ha illustrato Isabella Colombi – Direttore Risorse Umane – costruito per “creare relazioni solide tra aziende e dipendenti, un ambiente che sappia parlare a chi lo vive”, gradevole (opere d’arte negli uffici) e quindi più consono a stimolare la creatività e l’attitudine al lavoro del dipendente, che da Boiron è prima di tutto “persona”.
Torna di nuovo il concetto di #apertura che si traduce in abbattimento delle barriere tra azienda e dipendente, come dimostrato dall’apertura dell’head quarter alle famiglie per permettere loro di conciliare vita privata e lavorativa. Un’occasione di aggregazione e #condivisione che porta a benessere e felicità, due concetti che come ha dichiarato Contigiani sono entrambi fattore chiave dello Slow Brand. Interessante anche il video presentato dove il fondatore del brand spiega il dna da sempre slow “Il capo deve essere il più disponibile per far cambiare le cose…per lavorare sul rispetto per gli altri. Noi siamo un’organizzazione di uomini che lavorano per uomini”.

Un altro esempio di Slow Factory, ed in particolare di come la sede aziendale riesca ad inserirsi nel territorio, è Unicredit, rappresentata a #SBF15 da Paolo Maggi – Head of Strategic Media Planning. Nel suo intervento Maggi ha sottolineato quanto oggi sia difficile parlare di branding in Italia senza essere legati al profitto e al business-in-tempi-ridotti, ancor più difficile è portare la tematica Slow in azienda (“avere meno contatti ma più qualitativi”). Oggi le aziende sono più complesse e hanno obiettivi differenti rispetto al passato, ma un punto che sembra essere sempre più condiviso – come ha sottolineato anche Barbiera nella Tavola Rotonda – è “dare più spazio ai contenuti raccontando storie e offrendo valore, piuttosto che catalizzare l’attenzione sull’azienda in sé” (cfr. Branded Content e Branded Entertainment).

Ecco quindi emergere la dinamica Slow anche per UniCredit: allungare i tempi di contatto con gli utenti, andare a cercarli e trattenerli dando loro delle risposte di senso attraverso i contenuti stessi, non aver paura di parlare di piccoli numeri ma avere il #coraggio di porre quegli asset in grado di “trasformare un brand in lovemark”. L’esempio di #apertura e #condivisione in chiave slow per UniCredit è #MilanInSight (https://www.milaninsight.it/): un sito web di recente lancio, costruito a partire da una fotografia creata da una troupe specializzata, grazie all’unione di 40.000 immagini (la terza immagine interattiva più grande del mondo!). Oltre ad essere interattiva, la fotografia ottenuta è stata riempita di contenuti con lo scopo di legare il brand e la sede aziendale al territorio circostante: interviste, foto storiche, storie e concorsi per creare condivisione e apertura del marchio verso i suoi stakeholder, dilatandone i tempi di contatto e offrendo loro valore aggiunto, anche in questo caso in ottica Slow.

Un altro progetto presentato a #SBF15 è stato “Io Yogurt” di Danone, che come ci ha illustrato Fabrizio Sforza, Commercial Development Manager Danone, si è prefissato di aumentare il consumo di yogurt e di inserire questo alimento come sano e buono all’interno della dieta italiana (cambiando quindi la mentalità dei consumatori). Il lato slow è stato sottolineato dall’impatto che “Io Yogurt” ha avuto nel lungo termine: tanti tasselli per costruire una strategia efficacie dall’apertura del temporary store (http://brandforum.it/papers/1340/temporary-store-io-yogurt-by-danone-quando-lo-yogurt-diventa-esperienza), alla messa on-air di uno Slow Spot dedicato, fino all’attivazione diretta del consumatore.
Anche questo progetto ha dimostrato come è possibile oggi #allungare e #dilatare la relazione tra consumatori e brand, per dar loro il tempo di percepire in modo nuovo l’immagine del prodotto associato al marchio stesso.

Tanti casi, tanti spunti di riflessione tutti accumunati da una presa di coscienza ormai chiara: la necessità di dover rallentare, utilizzare le giuste tempistiche per proporre nuove soluzioni in termini di comunicazione e quindi di business.

Premiazioni Slow Brand
Al termine dell’evento, Brandforum ha deciso di premiare quelle realtà in grado di mettere in atto dinamiche slow; i casi in nomination (cfr. http://brandforum.it/papers/1364/elenco-giurati-under30-nomination-sbf15) sono stati scelti dagli studenti dell’Università Cattolica di Milano (corso di “Storia e linguaggi della Pubblicità” – Facoltà Scienze Linguistiche indirizzo comunicazione aziendale, studenti del Master in Comunicazione, Marketing Digitale e Pubblicità Interattiva – ALMED/IAB), dal Gruppo dei CSRnatives, dagli Studenti del corso di Pubblicità del II e III anno dello IED di Torino, dai ricercatori di Spazio-Lavoro di Fondazione G. Feltrinelli e dai redattori “under 30” di Brandforum.

I brand che si sono distinti nelle quattro diverse categorie sono stati (http://brandforum.it/papers/1366/sbf15-i-vincitori-del-titolo-miglior-slow-brand-2015):

#per la categoria Slow ADVWind con la campagna “Papà,”

#per la categoria Slow SpacesM**Bun il primo SlowFastFood made in Piemonte

#per la categoria Slow WebDove con “Choose Beautiful” e Samsung con “Maestros Academy” a pari merito

#per la categoria Slow FactoryPink Frogs Cosmetics con l’“Etichetta ambientale”.

Una menzione speciale è stata data a Ops!Objects per “Pure Love” in quanto brand più votato online dalla community di Brandforum.it.

Stay tuned: progetto di ricerca
#SBF15 in realtà non si è del tutto concluso lo scorso 11 giugno, ma anzi è stato solo il punto di partenza per un progetto di ricerca più ampio e articolato che vedrà il coinvolgimento delle aziende vincitrici e delle realtà proposte in nomination, con l’obiettivo di valorizzare attraverso un’analisi approfondita chi ha scelto di rallentare.

A cura di

Alessandra Olietti

Redattore Senior 

Project Manager Eventi

Collabora con Brandforum da gennaio 2012

Forte interesse per la scrittura sul web e sui social, nonché per il mondo del brand, in particolare per le strategie comunicative applicate al business turistico. Su questa tematica nel 2018 ha scritto un libro per FrancoAngeli - "Turismo digitale. In viaggio tra i click" - con Patrizia Musso.

Dal giugno 2015 collabora nell'organizzazione di Slow Brand Festival, un appuntamento annuale - ideato dal Direttore di Brandforum - dedicato alle riflessioni sul fenomeno Slow in Italia. 

Si è laureata con lode presso l’Università Cattolica di Milano con una tesi magistrale sulla comunicazione aziendale attraverso gli spazi, riletta alla luce delle teorie dei media digitali e del marketing esperienziale. Attualmente è Docente a contratto presso il medesimo ateneo, nonché formatore e consulente aziendale

In Università Cattolica è inoltre Career Adviser (CIMO. Comunicazione per le imprese,i media e le organizzazioni complesse) e Coordinatore dell'International Master in Cultural Diplomacy.

Oltre alle attività accademiche, si occupa di Coordinamento Media e Marketing per Alchemilla Cooperativa Sociale  in relazione al progetto "Artoo. L'arte raccontata dai bambini", una start up innovativa che propone un modo nuovo di avvicinarsi all’arte, promuovendo l'autoralità e il protagonismo culturale dei bambini anche in età prescolare.

Nel tempo libero cucina, legge e appena può scappa tra i monti.

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