Costruire universi narrativi: il Transmedia Storytelling
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Costruire universi narrativi: il Transmedia Storytelling
26/03/2013

Cristina Fona, Network di Brandforum.it
Siamo stati al Workshop organizzato da Asseprim, in collaborazione con Cartoon Lombardia, dedicato al tema del Transmedia Storytelling con ospiti d’eccezione. Un momento interessante per coniugare teoria e pratica.

 

Il pubblico dei media cerca sempre più la complessità” (Henry Jenkins “Spreadable Media”)

 

Giovedì 21 marzo, presso la Sala Colucci di Unione Confcommercio a Milano, si è tenuto il secondo Workshop organizzato da Asseprim, in collaborazione con Cartoon Lombardia, dedicato al tema del Transmedia Storytelling.

 

Un’occasione unica con ospiti d’eccezione, fra cui Max Giovagnoli   (v. foto 2 nella nostra Gallery) il quale ha tenuto, durante la mattinata, un approfondimento sull’utilizzo dello storytelling e la progettazione di sistemi comunicativi transmediali nella comunicazione d’impresa, istituzionale e nell’entertainment. Considerato negli Stati Uniti “una delle trenta persone che stanno cambiando il modo di raccontare storie attraverso i media", collabora con importanti major del cinema e broadcaster tv come Disney, Warner, Sony e la RAI ed è l’autore di alcuni saggi sull’argomento, fra cui uno in uscita proprio in questi giorni, dal titolo: “Transmedia. Storytelling e comunicazione”.

 


L’incontro si è sviluppato a partire da una considerazione di fondo: “La diffusione delle tecnologie digitali e il consumo di nuove forme di serialità e di racconto porta oggi la comunicazione d’impresa, il marketing e l’advertising, a evolvere in favore di un pubblico più esigente e di narrazioni e forme di promozione distribuite su più media in modo interattivo”.

 

In questo senso, la transmedialità può essere considerata una sfida produttiva e commerciale, ma anche una risposta ad un’esigenza di complessità.

Il transmedia storytelling esprime quelle che Giovagnoli definisce le “nuove geografie del racconto”: dal ponte dell’immaginario alla sua declinazione nel reale, la narrazione prende forma attraverso campagne di comunicazione, marketing, advertising, e il racconto esplora, in ogni passaggio, il suo essere in potenza, diventa queste possibilità e si trasforma passando da una piattaforma ad un’altra.

 

Parliamo quindi di “una forma di racconto e di promozione che crea, sviluppa e articola su più mezzi di comunicazione universi drammaturgici capaci di esplodere brand e franchise industriali, partendo fin dall’ideazione e condizionandone la scrittura”.  E’ quello che è successo a “Game of Thrones”, ma anche a molti altri prodotti editoriali e/o cinematografici.


Il bouquet transmediale si basa su un universo immaginativo complesso, costituito da contenuti, canali comunicativi e soprattutto esperienze in grado di coinvolgere il pubblico. Queste esperienze possono essere generate a partire da alcuni ingredienti base che creano le fondamenta di un racconto trans mediale. Innanzitutto è necessario definire la trama e le regole della partita, i rapporti produttivi fra i diversi media implicati e le diverse declinazioni del patto narrativo attraverso dei bridge e una serie di touch point.

 

In tutto questo sistema complesso, le declinazioni risultano fondamentali, in quanto la vecchia regola secondo la quale “Io racconto, tu credi”, attraverso i new media, viene completamente sconvolta, e la narrazione trova percorsi nuovi, alternativi, grazie al contributo del pubblico/consumatori che, entrando nel mezzo della storia, hanno il potere di prendere in mano gomma e matita e riscrivere la loro versione.

 

Giovagnoli ha poi definito le regole di questo nuovo universo narrativo. Si tratta di un mondo fatto da un bacino semantico complicato, dove troviamo: ambientazioni, personaggi e personas, gli spazi o l’arena drammaturgica degli attori, le piattaforme che devono essere libere e condivise, le trans media audiences, una forte componente emotiva ed infine le regole dell’universo e le gerarchie interne, che reggono l’intera struttura. Rispetto ad una narrazione tradizionale, maggiore enfasi è data sia al pubblico, sia alla condivisione e di conseguenza ai media, strumenti di connessione e relazione. 

 

I personaggi che popolano questi nuovi mondi, devono avere anch’essi delle caratteristiche proprie alla transmedialità.

 

Innanzitutto, devono avere una ferita interna o una maschera (fisica o psicologica), non devono essere particolarmente originali, ma contaminati e transcodificati e devono avere un ruolo chiaro e definito all’interno delle gerarchie.

 

Inoltre, devono essere inseriti all’interno di un gruppo e devono essere legati ad uno o più antagonisti (tecnica del mirroring).

 

Anche il tema del racconto è  fondamentale e, nel trans media, non deve mai essere mostrato. Per tema, intendiamo il significato profondo dell’intero racconto, ovvero l’esperienza ambita dalle audiences e che l’autore deve fare sua. Questi complessi costrutti narrativi danno alla luce percorsi inediti e aprono le porte al lettore a cui non solo è dato il compito dell’interpretazione, ma anche dell’analisi, dell’interazione, del giudizio. Il pubblico guadagna, grazie al web 2.0, la possibilità di entrare a far parte di quell’universo di parole e di mettersi in gioco.

 


Oltre all’esempio di “Games of Thrones”, molti altri casi sono stati presentati durante il convegno: la famosa campagna “The candidate” di Heineken (cfr. http://www.youtube.com/watch?v=j5Ftu3NbivE&has_verified=1), e lo spot/miniserie “The Hire” di Bmw (cfr. http://www.youtube.com/watch?v=PKYUtUw-8ig), sino al caso di Lego con “The lost brick”.

Case-history molto interessanti, in cui la narrazione diventa il filo conduttore delle relazioni brand-consumatore e dove storytelling e comunicazione diventano sempre più integrati e complementari nella prassi industriale e creativa.

 

 

Questi esempi fanno, però, riflettere: come il transmedia storytelling può essere effettivamente applicato alla piccola media impresa italiana? Naturalmente, non tutti sono HBO e non tutti hanno i mezzi e gli strumenti per declinare un “frame narrativo in kolossal”.

Quel che è certo è che la potenzialità del racconto è straordinaria e la sua malleabilità ci fa continuare a credere che si tratti di un elemento facilmente adattabile a qualsiasi strategia comunicativa: ne è un esempio il caso del Gruppo Amatori, con il progetto “Viaggiare terra e mare” (cfr. http://www.viaggiareterraemare.it/) realizzato da E-xtrategy. Questo indica che lo storytelling ci apre di per sé molte porte… a noi, la creatività, l’ambizione, il coraggio e la voglia di aprirle. 

 

 

Concludo con le parole  del testo di Giovagnoli, che trovo particolarmente significative in quanto rappresentano un invito a sperimentare e sperimentarsi: “Cambiano i linguaggi, i “cantastorie mediali” e perfino i nuovi falò digitali intorno ai quali raccontare storie; evolvono le tecniche narrative e le strategie editoriali, le logiche produttive, i meccanismi di finanziamento e di sviluppo della creatività, la tecnologia e il dialogo con i media. E cosa c’è di più gratificante e curioso, per un autore, un comunicatore o un imprenditore, del cavalcare un cambiamento tanto radicale e potenzialmente deflagrante?

 

 

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