Green marketing e greenwashing: due strade verso la sostenibilità nella beauty industry
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Green marketing e greenwashing: due strade verso la sostenibilità nella beauty industry
29/11/2023

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SOSTENIBILITÀ

Green marketing o greenwashing? Come sviluppare efficaci strategie in ottica di sostenibilità: i casi Lush e L’Oréal.

Oggi più che mai, molti brand si stanno avvicinando ad un approccio più green. Non sempre però, l’intenzione corrisponde alla realtà. La comunicazione del proprio impegno nei confronti della sostenibilità nasconde infatti una grande trappola: il greenwashing.

Green marketing e greenwashing oggi: di cosa si tratta?

 
I mondi del marketing e della sostenibilità (di cui parliamo spesso su Brandforum tramite paper di approfondimento in una sezione ad hoc), nonostante abbiano obiettivi in netto contrasto (uno il profitto e l’altro il rispetto e preservazione della Terra), possono trovare un punto di incontro. Si chiama green marketing, amico dell’ambiente che ha come nemico una pratica sempre più diffusa: il greenwashing.

Immagine 1 – Fonte: link 

John Grant, il padre del marketing sostenibile, ha scritto nel 2007 “Il Manifesto del Green Marketing”, teorizzando le caratteristiche della disciplina che potrebbe salvare il nostro pianeta, unendo consumatori e aziende in una lotta contro il tempo che è necessario vincere.

Da definizione, il marketing verde consiste nell’“insieme delle attività che concorrono allo sviluppo, commercializzazione e promozione di prodotti e servizi in grado di generare un minore impatto ambientale in confronto alle alternative offerte sul mercato”.  Fare bene all’ambiente e “vendere nuovi stili di vita” attraverso il green marketing, dunque, rappresentano un doppio beneficio a favore di business e pianeta.

A differenza del passato, oggi la sostenibilità ambientale è un dovere: non a caso è sempre più diffusa la notizia che il numero di aziende che stanno formando e assumendo esperti del settore, dando vita a nuove cariche lavorative di notevole rilevanza, è in costante aumento.

Una caratteristica distintiva e fondamentale del green marketing è la trasparenza delle informazioni veicolate al consumatore finale, ponendolo nella posizione di essere consapevole delle proprie scelte e dell’importante contributo nella salvaguardia della Terra.

La necessità di stare al passo con i tempi e le richieste di una maggiore sostenibilità da parte dei consumatori ha però provocato in alcuni casi l’effetto inverso: il fenomeno del greenwashing. Intenzionale o indesiderato e nato a partire dagli anni Ottanta, il greenwashing consiste nella falsificazione o omissione delle informazioni riguardanti la sostenibilità dei prodotti e/o servizi offerti da un brand, “tingendoli” di verde e rendendoli più appetibili agli occhi di un consumatore responsabile ma poco attento ai dettagli, traendolo in inganno nel tentativo di ripulirsi l’immagine e la reputazione. Secondo Grant, l’obiettivo del marketing verde è quello di «far sembrare normali prodotti e servizi sostenibili» (Citazione di John Grant. Green Marketing. Il Manifesto. Francesco Brioschi Editore, Milano, 2009. p. 50). L’essenza del greenwashing, dunque, è diametralmente opposta.

Immagine 2 – Fonte: link

Anche all’interno del mondo della beauty industry è possibile osservare casi di successo di green marketing ed altri, invece, di greenwashing. È bene precisare che per considerare un brand sostenibile è necessario considerare tutte le fasi della Life Cycle Assessment di un prodotto: ideazione, uso di materie prime e degli ingredienti, produzione, packaging, trasporto, uso e post-utilizzo. Il settore della cosmesi muove ogni anno milioni di dollari con un tasso annuo di crescita mondiale del 4.75% e non è un caso che questo sia uno dei rami più dinamici e maggiormente coinvolti da casi di greenwashing.

Il green marketing di successo di Lush

 
L’azienda inglese Lush è uno dei brand più potenti in termini di sostenibilità nel mondo della beauty industry, role model che tutte le aziende potrebbero e dovrebbero imitare per condurre pratiche di green marketing di successo. Fondato nel 1995 e presente in 40 stati del mondo, il brand è attivamente impegnato nella responsabilizzazione del consumatore, veicolando messaggi di sensibilizzazione sulle tematiche dell’inquinamento e dell’etica verso la vita in tutte le sue forme online (sul proprio sito) e offline (all’interno degli store).

Dai propri albori, infatti, il marchio inglese ha operato nel rispetto della propria mission lavorando con ingredienti freschi provenienti da raccolti certificati, garantendo il rispetto dei lavoratori, della natura e dei suoi abitanti. Il packaging è quasi totalmente assente, conferendo ai prodotti la nomea di essere “naked”. Ove necessario, le confezioni sono in plastica riciclata (e riciclabile, consegnando i vuoti in negozio) o carta. I prodotti sono handmade, principalmente vegani e cruelty free. Inoltre, Lush sostiene numerose iniziative , devolvendo parte dei profitti a charities e associazioni attive nella protezione della natura e degli animali.

La sostenibilità del brand non si misura dunque solo a livello ambientale, ma anche animale e etico. Contestualmente, la tematica della sperimentazione animale è uno dei fattori più incisivi nella determinazione della sostenibilità di un marchio. In Europa, dal 2004 è vietato testare i propri prodotti o alcuni ingredienti sugli animali, mentre in altri stati come la Cina la legislazione è differente. Lush dichiara di essere pronta ad avviare una contestazione contro le direttive cinesi, offrendo in alternativa test indolori svolti su volontari o test in vitro.

Immagine 3 – Lush Store (Fonte: link)

A partire da novembre 2021 è entrata in vigore la “Lush anti-social media policy”, un’iniziativa promossa a favore di un sano allontanamento da parte dell’azienda stessa e i suoi clienti dai social media per incoraggiare una maggiore consapevolezza a favore del benessere psicofisico individuale. L’addio ai social, in un momento storico come il nostro in cui viviamo costantemente online, ha dimostrato un grande coraggio, considerando che la presenza di un brand sui canali di comunicazione digitali è fondamentale per mantenere un contatto con il cliente e promuovere le vendite, preservando contemporaneamente la propria reputation.

L’entusiasmo, i colori e i profumi di Lush sono quindi alcuni degli aspetti più caratteristici che lo contraddistinguono come uno dei brand più attento al pianeta e ai suoi abitanti.

L’Oréal Paris, verso la strada giusta, ma con qualche ostacolo

 
Anche il gruppo L’Oréal sta muovendo passi verso la sostenibilità, ma più lentamente. Nonostante le iniziative e l’impegno a favore dell’ambiente, nel corso degli anni sono stati rilevati alcuni elementi che si potrebbero considerare riconducibili a pratiche di greenwashing all’interno delle strategie comunicative promosse da L’Oréal Paris.

Attualmente, il 61% degli ingredienti sono di origine vegetale. Per il 2030 è stato fissato l’obiettivo di raggiungere il 100%. Oggi, dunque, alcune componenti dei prodotti sono ancora di origine animale, il che implica sofferenza e insostenibilità ambientale, considerando che l’industria zootecnica è una delle principali cause dell’inquinamento e del conseguente cambiamento climatico. Ne sono un esempio ingredienti come la cocciniglia, ottenuta dalla macinazione di piccoli insetti rossi, presente in alcune nuances di rossetti; la lanolina, un grasso ottenuto dal pelo delle pecore; il collagene, ricavato dal tessuto connettivo degli animali e la polvere di seta, proveniente dalla crudele pratica che prevede l’uccisione dei bachi in acqua bollente affinché rilascino i filamenti del materiale. Oltre a ciò, la presenza di ingredienti come la paraffina vede pareri discordanti riguardo l’impatto che gli oli minerali raffinati hanno sull’ecosistema. Alcuni studi, come quello pubblicato nel 2018 sul sito Frontiers, hanno evidenziato la presenza di residui di particelle paraffine dannose per la flora e la fauna lungo alcune coste marine.

Immagine 4 – L’Oréal Paris Store (Fonte: link)

Attualmente, per il Gruppo, una delle tematiche più spinose è senza dubbio quella legata alla sperimentazione animale. Le leggi vigenti in Cina, seppur allentate a partire dal 2021, impongono il test di alcuni prodotti e/o ingredienti considerati “ad uso speciale” (come solari, tinte e nuove formule) prima della loro immissione in commercio. Vendendo in questo paese, L’Oréal acconsente, ove necessario, alla sperimentazione sugli animali (da parte di terzi) per permettere la commercializzazione dei propri prodotti. PETA, massima esponente della lotta per i diritti animali, ha infatti inserito L’Oréal Paris all’interno della propria autorevole lista di brand che ad oggi non sono ancora cruelty free. La componente di greenwashing è evidente nel momento in cui sia sui social che all’interno del proprio corporate website, L’Oréal Paris afferma di non testare sugli animali.

Ad ogni modo, anche il gruppo L’Oréal sta pianificando il raggiungimento di obiettivi di maggiore sostenibilità per quanto riguarda packaging, ingredienti e inquinamento derivato dalla propria attività, progetti e miglioramenti delle proprie linee. A livello comunicativo, la sostenibilità non è posta al centro dell’attenzione come dal brand Lush, dando maggiore risalto a tematiche femminili di empowerment e valorizzazione delle donne, spostando il focus su una sostenibilità più “umana”.

Che cosa può fare il consumatore?

 
Oggi, il consumatore ricopre un ruolo fondamentale nella determinazione della domanda e di una conseguente risposta da parte delle aziende. Si parla infatti di prosumer, partecipanti attivi nella determinazione dell’economia del paese mediante le proprie scelte di acquisto. Ognuno di noi gode di un grande potere: la possibilità di scegliere e di informarsi. Ogni giorno siamo responsabili delle nostre azioni, e attraverso ciò che decidiamo di (non) fare possiamo avere un impatto positivo sul nostro pianeta, nella speranza che presto la nostra Terra sia trattata come Madre e donatrice di vita, e non come creatura da sfruttare. In fondo, noi siamo suoi ospiti.

A cura di

Sonia Speroni
Mi sono laureata con 110 e lode nella facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere (Lingue per l’impresa) presso l’Università Cattolica di Milano, con specializzazione in inglese e spagnolo. Con la tesi triennale in Storia e Linguaggi della Pubblicità ho avuto modo di analizzare gli effetti del green marketing e greenwashing nella comunicazione nella beauty industry. Attualmente, sono studentessa del Master Publitalia ‘80 dove studio marketing, digital communication e sales management.

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