Stato dell’arte e futuro dei brand al World Business Forum 2013
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Stato dell’arte e futuro dei brand al World Business Forum 2013
18/11/2013

Max Morales, Redattore Senior, Brandforum.it
E’ terminata da poco la decima edizione del World Business Forum a Milano. Un quadro di quanto è emerso circa lo stato dell’arte e il futuro del brand, a partire dall’intervento di Kevin Roberts (ideatore dei Lovemarks).

E’ terminata da poco la decima edizione del World Business Forum a Milano, che ho avuto la possibilità, e la fortuna, di seguire integralmente durante i due giorni di svolgimento.


Il World business Forum è prima di tutto un luogo di incontro per manager italiani, un grande corso di aggiornamento su complessi temi, in rapido mutamento, sui quali i dirigenti del marketing e delle relazioni esterne non hanno il tempo di formarsi gradualmente durante l’anno. L’evento è anche una vera e propria kermesse-vetrina nella quale sfilano alcuni degli uomini più importanti e influenti del mondo nel campo del management aziendale e del marketing, da Chris Anderson (storico direttore di Wired) a Gerard Schroder (due volte Cancelliere tedesco).


Sarebbe certamente utile discutere in questa occasione di molti degli aspetti interessanti e significativi emersi dagli illuminanti interventi dei relatori; tuttavia, visti gli interessi specifici dei lettori di Brandforum, vorrei provare a darvi un quadro di quanto è emerso in quei due giorni circa lo stato dell’arte e il futuro del brand.

 

A questo proposito l’intervento fondamentale è stato sicuramente quello di Kevin Roberts, AD worldwide di e ideatore del concetto di lovemarks, che ormai fa stabilmente parte della letteratura scientifica sul branding. Roberts ha iniziato sostenendo che il marketing, come lo conosciamo, è morto e sepolto; e con lui anche il brand. Secondo Roberts ci sono solo lovemarks, che sono nelle mani di chi li usa e di chi li acquista, di coloro che li fanno evolvere, che li fanno crescere e li modificano in modo che siano sempre al passo con i tempi.

 

Kevin Roberts configura così un orizzonte del marketing nel quale non è il Direttore marketing che inventa il brand, semmai lo suggerisce, fa iniziare una collaborazione, una condivisione con i propri pubblici-target che creeranno un brand, inteso come mondo di marca, a propria immagine e somiglianza. Solo così si ottiene un lovemark, creando una vera community e una profonda intimacy (intimità) con il target.


Questa condivisione e collaborazione, questa circolazione delle idee e delle competenze deve riflettersi anche sull’organizzazione: e così, la creatività non sarà un processo isolato e stimolato, non servirà cercare la big idea seguendo regole particolari, ma si potrà contare su una cultura aziendale in grado di garantire freschezza dei contenuti e creatività nei messaggi.


Sulla base di queste indicazioni Kevin Roberts ha pensato ai manager delle relazioni esterne e ha proposto tre domande che questi dovrebbero farsi quando viene loro proposta una nuova campagna. Con le risposte possiamo prevederne il successo nel contesto mediale di oggi.

 

Innanzitutto è necessario chiedersi: Voglio vederlo di nuovo? Se si tratta di una campagna che non ho voglia di rivedere, che si rivela immediatamente e che non mi lega a sé, ci sono pochissime probabilità che abbia successo.


In secondo luogo occorre chiedersi: Voglio condividerlo? Quando un messaggio ci colpisce lo condividiamo. Chiunque abbia una presenza sui social media sa quanto sia inevitabile questo passaggio. E’ evidente quindi che, se la nostra campagna è “condivisibile” o istiga alla condivisione, conquisterà audience enormi senza nemmeno dover acquistare gli spazi pubblicitari. Inoltre, proprio perché sarà diffusa volontariamente, sarà ancora più pervasiva nei confronti dei target.

 

Un’ultima domanda che dobbiamo farci è: Voglio migliorarlo? In questo caso si tratta del desiderio di modificare una pubblicità, uno spot, per poi condividerlo (con la nostra modifica o personalizzazione). Magari si tratterà di sostituire il volto dell’attrice con quello di una persona di famiglia o di un’amica.
Quello che importa è che, se un soggetto modifica una campagna e la condivide, significa che vuole sentirla sua e che la sottoscrive; diventa così ambasciatore spontaneo del brand, con effetti enormi sulla brand equity e sull’efficacia della campagna. La modifica di una campagna da parte di un utente non meglio qualificato quindi non è più un sacrilegio a danno del brand, dal quale proteggersi anche legalmente, ma un atto d’amore impagabile di un fan del marchio che aiuterà nella diffusione dei propri valori aggiungendo significato.

 

Ecco come si modifica la marca allora: non più soltanto un accumulatore di significati imposti da una direzione aziendale o una traduzione dei cosiddetti brand values in immagini e soggetti, ma un universo co-creato con i propri customer, una costante dialettica di conoscenze e competenze all’interno della quale il Brand manager non deve far altro che intercettare e interpretare i trend, guidare e moderare la conversazione senza snaturarla.

 

 

A cura di

Max Morales

Responsabile relazioni esterne e comunicazione di un'azienda leader nel settore del direct email marketing e attiva nel social media management e nelle digital PR. Appassionato cultore di linguaggi della comunicazione e musicista, è titolare della rubrica musicale Blue sound per il bimestrale Blue Liguria ed è contributore per Assodigitale (la testata dell’Associazione italiana per l’Industria Digitale).

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