Alessandra Olietti, Redattore Senior di Brandforum.it
Un evento per presentare il nuovo magazine digitale di Eni e per riflettere su come sta cambiando oggi lo storytelling aziendale
“Non necessariamente bisogna cambiare il contenuto, ma il modo in cui veicolarlo” questa è la frase, pronunciata dal giornalista Gianni Riotta, che a mio avviso meglio riassume l’evento organizzato da Eni – “La comunicazione è una bella storia”, tenutosi lo scorso 5 ottobre nella suggestiva cornice della Triennale di Milano.
L’incontro era volto a presentare il nuovo magazine online del brand: Eniday (https://www.eniday.com/it/), una piattaforma digitale multilingue dedicata al racconto delle nuove frontiere in campo di energia e innovazione (Link al video di presentazione: https://www.youtube.com/watch?v=Wua8aKhzEdo). #Eniday raccoglie infatti le storie di ricerca e esplorazione, oltre che le esperienze di chi lavora per trasformare le risorse naturali della nostra Terra in energia. Il magazine va ad alimentare i siti e i social media di Eni, arricchendoli di contenuti che verranno distribuiti su tutte le piattaforme del gruppo, tra cui anche la nuova pagina Facebook istituzionale.
“Oggi le aziende possono raccontare la loro storia…con nuovi strumenti". #eniday
L’evento è stato anche occasione per riflettere con esperti del settore su come stia cambiando oggi il modo di fare comunicazione, in particolare per le aziende.
Per questo, nella duplice veste di inviata della redazione di Brandforum e di appassionata di corporate communication e storytelling aziendale, vi fornirò alcuni spunti di riflessione a partire dalle tematiche trattate.
In primo luogo vorrei partire da un esempio tratto dalla quotidianità: Vinci e Pennetta, le due tenniste finaliste agli US open dello scorso settembre. In quanti di noi sapevano di avere due italiane in finale per l’importante torneo? E in quanti poi si sono appassionati alle due sportive grazie alle storie che (in modo seppur costruito) ci sono state raccontate su di loro, attraverso i media?
Oggi ognuno di noi può raccontare delle storie, vere o romanzate che siano, e quello che è ancor più importante è che oggi anche le aziende possono – e per certi aspetti devono – farlo.
Grazie alla comunicazione, infatti, come ha sottolineato Marco Bardazzi (direttore comunicazione esterna Eni e moderatore della serata), le aziende creano una community formata non più solamente da investitori, azionisti e clienti ma anche da gente comune e appassionati del brand, passando così da una “shareholder economy ad una stakeholder economy”, dove il valore aggiunto è dato da chi diventa parte della storia condivisa.
Le 6 “c” della comunicazione
A partire dalla parola chiave, comunicare, è stato possibile portare alla luce altri 6 concetti – tutti con iniziale la lettera “c” – che contribuiscono a delineare le nuove frontiere verso cui si spinge lo storytelling aziendale.
#contenuti: oggi più che mai, vista la mole di informazioni che ci circondano, diventa fondamentale proporre contenuti originali che narrino cosa fa l’azienda e verso quali obiettivi si stia muovendo.
Strettamente legata è la #condivisione di questi contenuti tra i propri pubblici di riferimento.
#contaminazione: viviamo in una fase in cui ogni tematica è strettamente interconnessa alle altre e permette un’influenza reciproca non sono contenutistica, ma anche tra i soggetti protagonisti dello storytelling.
#creatività: creare messaggi non banali (sarà un caso che l’evento si sia svolto proprio in Triennale, uno dei templi della creatività a Milano?), innovativi e durevoli nel tempo per sapersi distinguere.
#comunità: in costante ampliamento per arricchire i messaggi veicolati grazie alla #conversazione che viene a generarsi.
G. Riotta: le nuove “regole” della comunicazione
"I brand non possono avere zone d'ombra oggi, serve trasparenza nei confronti delle varie comunità nelle quali si inseriscono" #eniday #GianniRiotta
A partire dai nuovi tag che determinano oggi l’evoluzione dello storytelling aziendale, è intervenuto alla tavola rotonda Gianni Riotta (giornalista e scrittore) che nel suo speech ha saputo far emergere la necessità attuale di conoscere le nuove “regole” che caratterizzano oggi la comunicazione, conoscere i nuovi media e i nuovi strumenti per esprimersi.
Tra queste l’inutilità dei grandi slogan: non serve più infatti parlare per frasi fatte o per grandi claim (“La più amata dagli italiani”), serve piuttosto un messaggio forte che sappia farsi brand; bisogna presidiare più spazi e tempi rispetto al passato, perché il brand con le sue informazioni deve essere laddove l’utente lo cerca e di conseguenza per l’azienda è necessario curarsi di come la comunità gestisce il messaggio che essa decide di veicolare.
Per questo motivo le aziende oggi non devono avere zone d’ombra, devono piuttosto essere trasparenti verso i loro stakeholder, devono immaginarsi di essere sempre sotto i riflettori e capire le esigenze dei loro pubblici pensando in primis ai loro interessi piuttosto che al tornaconto economico e di immagine che l’azienda ne ricaverebbe.
E’ in questo modo che il concetto di brand si ibrida per certi versi con il concetto di community, pensiamo per esempio ai supermercati Tesco che permettono agli utenti di risparmiare tempo e fare la spesa in mobilità grazie ad uno speciale QRcode, oppure all’applicazione Nike Runtastic che permette di creare una community virtuale che si sfida a suon di km percorsi.
E a proposito del mantra che molte aziende oggi perseguono “essere digital a tutti i costi”, Riotta riflette in modo a mio avviso molto condivisibile: oggi non basta trasformare tutta l’azienda nel suo alter-ego digital, pensando che basti avere un sito web o un corporate blog per stare al passo con i tempi, serve invece che tutta l’azienda a partire da chi la vive in prima persona faccia un salto verso il digital in modo conscio e responsabile.
D. Bowen: il “sito perfetto”
In riferimento al digitale, si inserisce l’intervento di David Bowen (fondatore e senior consultant di Bowen Craggs & Co) che si è focalizzato sui tanti strumenti in ambito digital che oggi l’azienda ha a disposizione per comunicare, e sui dati che può utilizzare (grazie per esempio a Google Analytics).
Si è interrogato su come dev’essere il sito corporate perfetto e ha dato una serie di consigli che vorrei condividere con voi, in particolare con chi in prima persona si occupa di gestire un sito aziendale o un corporate blog.
"È necessario intercettare le richieste di informazioni delle diverse audience, non solo i bisogni comunicativi dell'azienda". #eniday
In prima battuta è necessario capire i #bisogni sia dell’azienda, sia dei destinatari del messaggio che si vuole veicolare, inoltre il sito deve #parlare come parlerebbe l’azienda (si tratta infatti di corporate communication, non solo communication) perché è il primo posto dove si cercano informazioni su un brand e sui suoi prodotti; non dovrebbe veicolare altri #valori o altri messaggi pena la confusione per gli stakeholder nel farli propri. Il sito deve anche essere #utile e chiaro: deve fornire novità sui prodotti, proporre immagini non banali, deve poter dare la possibilità di procedere con un acquisto (ove previsto), deve prevedere uno spazio per le canditure di lavoro, deve creare #engagement (con anche rimandi alle pagine social per esempio) e deve al tempo stesso essere #riconoscibile rispetto ai competitors, in particolare. Non dimentichiamoci poi l’#usabilità: deve essere semplice da navigare e trattenere i visitatori anche quelli che lo fruiscono in mobilità con un’apposita versione #mobile.
"Il sito corporate non deve essere solo uno strumento per vendere prodotti o dare informazioni, deve diventare un mezzo di brand building in grado di creare comunità". #eniday
S. Snow: il potere dello storytelling
Shane Snow (giornalista, autore e fondatore di Contently) nel suo speech ha esordito con un interrogativo sul “perché ci fidiamo delle persone che ci raccontano una storia” per dare la sua personale interpretazione del potere dello storytelling in ambito aziendale.
Sono state molteplici le motivazioni che ha elencato; qui di seguito vi segnalo quelle che a mio avviso – e alla luce della posizione di Brandforum sul tema – mi sembrano essere degne di nota. Punto fondamentale è che le storie aiutano a dare nuove #prospettive a chi le ascolta: già, perché permettono di entrare in #mondi paralleli e spingono a creare nuove #relazioni sempre più paritarie nel caso di azienda e stakeholder, permettendo al tempo stesso a questi ultimi di partecipare nel processo narrativo in modo prolungato (approccio slow).
Aspetto degno di nota è anche la capacità delle storie di far emergere il lato #umano del brand che in un atto di personificazione diventa uno degli elementi essenziali della storia da esso stesso narrata.
"Creare business non dev'essere il primo obiettivo dello #storytellingaziendale, deve creare engagement". #eniday
Forse è proprio questo il vero potere dello storytelling aziendale sempre più etico ed empatico, che necessita una vicinanza e un’unione solide con il marketing verso quello che oggi viene definito “content marketing”, ovvero un marketing fatto di contenuti.
"#Congruenza è la parola chiave per fare del buon content marketing". #eniday
Quello che a mio parere le aziende e gli esperti di comunicazione dovrebbero cogliere è di non avere paura di sperimentare, impegnarsi nel creare contenuti sempre più forti in grado di coinvolgere l’audience e creare così una community; dovrebbero dare valore ai messaggi ed essere consci che allo stato attuale delle cose fare business non deve più essere il primo obiettivo dello storytelling, al contrario le storie che prima semplicemente informavano le persone ora devono aiutarle in un rapporto di congruenza reciproca.
Come ci ricorda lo slogan e filo conduttore di tutto l’evento #Eniday “La comunicazione è una bella storia”, e allora perché non raccontarla?