#MBSummit 2017 – I puntata
Brand Trends
#MBSummit 2017 – I puntata
04/12/2017

Alessandra Olietti, Redattore Senior di Brandforum.it
Contenuti brevi e impattanti, analisi SEO, influencer: tre degli aspetti centrali emersi durante il Marketing Business Summit.

Per il secondo anno consecutivo, Brandforum è stato Media Partner del Marketing Business Summit  (#MBSummit), appuntamento annuale per comprendere come si sta evolvendo il settore marketing, in particolare in ambito digitale. I temi affrontati durante le due giornate sono stati molteplici, dalla customer experience alle campagne per creare maggiore engagement sui social media, dalla neuroscienza alle analitiche SEO per il business, fino alle case history di successo per anticipare le future tendenze del settore.

 

Uno dei temi centrali che ha fatto da trait d'union ai vari interventi è stato il ruolo centrale assunto dal contenuto, che aumenta la sua funzione come portatore di valore per i brand.

 

 


Contenuti lunghi vs contenuti brevi
In un panorama in cui siamo sfiorati da molteplici spunti informativi, i brand spesso arrancano per farsi conoscere e riconoscere dai clienti. Per questo motivo occorre pensare a strategie che sviluppino molteplici touch point, in grado di coinvolgere gli interlocutori e generando in loro delle emozioni. Per un brand far percepire la sua USP (unique selling proposition), anche nel modo di comunicare sul web, è fondamentale per aumentarne l'awareness. Un compito che indubbiamente non è semplice se si pensa ai dati presentati durante #MBSummit da Teresa Masterson (ex web editor ABC Philadelphia): è emerso infatti che l'attenzione sul web è in costante diminuzione, passando dai 9 secondi nel 2000, agli 8 nel 2015. Non sorprende quindi che i testi troppo lunghi fatichino ad essere letti.

 

 

Un sondaggio commissionato nel 2016, da una nota testata americana, ha evidenziato che solamente un lettore su 3 fruisce articoli sul web, per un tempo medio attorno ai 15 secondi. Un aspetto su cui riflettere è che gli utenti leggono senza comprendere: il 50% si imbatte in un articolo e non completa la lettura, di questi solo il 50% prosegue oltre i primi paragrafi. Ecco perché vengono solitamente prediletti testi più brevi. Il web content, secondo queste analisi, dovrebbe essere conciso e al tempo stesso ricco per mantenere alta l'attenzione del destinatario, ma anche organizzato secondo una forma grafica piacevole alla vista.

 

 

In una Rete sempre più visuale è bene evitare frasi lunghe e articolate, così come servono contenuti interattivi, con immagini in loop (gif) e infografiche dinamiche, per coinvolgere gli utenti. Importante, inoltre, è pensare ad una comunicazione personalizzata in base all'audience. Se poi il target sono i consumatori sotto i 18 anni, la situazione si complica ulteriormente visto che il loro consumo mediale passa principalmente attraverso le app e viene fruito solo da mobile. Sono una generazione che difficilmente compie troppi passaggi per arrivare alle landing page dei siti (entrano in contatto con i brand soprattutto tramite social come Facebook), inoltre non leggono,, ma preferiscono guardare video.

 


La domanda, quindi, ci sorge spontanea: c'è ancora spazio per gli approfondimenti sul web? I contenuti che oggi sembra possano fare la differenza in Rete, secondo gli esperti di SEO, sono testi capaci di dare suggerimenti, ovvero essere utili; al tempo stesso devono utilizzare un linguaggio naturale associato ad immagini esplicative. I titoli particolarmente apprezzati dall'algoritmo di Google sono quelli con le domande in stile tutorial, relativi a “come si fa qualcosa”, questo perché il motore di ricerca associa le richieste simili e aiuta il nostro contenuto ad avere una buona posizione nel ranking.

 

 

Una strategia certamente utile in termini di posizionamento, ma che ci fa comprendere quanto siamo dipendenti da Google e dai suoi algoritmi; si pensi a questo proposito che l'81% dei web users, nel mondo, lo utilizza: il rischio è che mostrando nelle prime posizioni i risultati in base alle ricerche precedenti dell'utente, viene a crearsi un loop chiuso. Una situazione potenzialmente “pericolosa” per i brand in quanto faticano ad uscire dalla propria cerchia di contatti. Come ha sottolineato Kaspar Szymanski, ex Google Search Quality Strategist, comprendere il motore di ricerca è fondamentale per poterlo utilizzare e per performare al meglio: uno strumento utile in questo senso è Google Developers, per rimanere aggiornati sulle recenti tecnologie Google.

 

 

Contenuti performanti sui social media
Fare marketing sui social media ha differenti finalità, tra cui la brand awareness ma anche l'acquisizione di nuovi clienti. Relativamente a questo secondo punto, come emerso durante #MBSummit negli interventi di Andrea D'Ottavio (ECO Webing) e Michele Sarzana (Social Marketing Manager Fastweb), è innegabile  che i social continuino ad essere un bacino importante per avere informazioni sui contatti/clienti. Bacino che deve essere gestito al meglio.

 


Al contrario, infatti, della loro apparente semplicità di utilizzo, il punto principale da cui partire è una strategia chiara e definita nonché un obiettivo da poter realizzare. Se dovessimo riassumere gli step di azioni necessarie per una buona performance sui social media, potremmo identificarne 3:

– strategia

– contenuti

– amplificazione

 

 

La strategia sarà importante per aumentare i tassi di conversione; i contenuti dovranno essere qualitativamente alti e al tempo stesso utili per gli utenti: l'ideale sarebbe pensare ad un piano editoriale con video, post virali, senza link esterni (Facebook tende a prediligere la community interna). Relativamente all'amplificazione, un ruolo centrale è svolto dagli influencer che se legati al post taggato aumentano notevolmente l'engagement attorno ad esso, tramite commenti, condivisioni, … Da non sottovalutare poi la creazione di eventi, tramite le piattaforme social, così come lanciare contest per ingaggiare gli utenti e dar vita a nuovi contenuti.

 

 

 

Puntare tutti sugli influencer?
A proposito di influencer marketing, cosa definisce chi può determinare i comportamenti del target? Essere influencer, oggi, secondo Nunzia Cillo (Lifestyle blogger) significa collocarsi a metà tra la figura del testimonial e del consumatore, essere percepiti come una persona “normale” che potenzialmente porta l'interlocutore a fidarsi di ciò scrive e propone, se ha dimostrato credibilità nel tempo.

 

 

Tradotto, ciò implica sviluppare contenuti di qualità in modo originale, saper comunicare, avere carisma, essere credibile e coerente, ma anche lavorare sulla propria immagine e brand reputation per favorire il dialogo con il proprio pubblico. Tutto questo permette di fidelizzare il lettore, grazie alla spontaneità che traspare dal comportamento dell'influencer, ma anche dallo storytelling emozionale che ha saputo sviluppare attraverso la comunicazione. Il risultato è naturalmente la possibilità di creare engagement con il target per poter generare un aumento di followers. Per il brand che coinvolge un influencer nella sua strategia comunicativa, questo implica entrare in contatto con utenti che possono diventare potenziali nuovi clienti. Una strategia collaborativa che dipende da differenti fattori, al fine di avere un alto tasso di conversione per le aziende: ad esempio, l'immagine del prodotto dovrebbe essere in linea con immagine dell'influencer, il bene pubblicizzato dovrebbe essere realmente usato da chi lo sta promuovendo per essere quindi in grado di guidare il target all’acquisto. In realtà molte delle collaborazioni che vengono siglate hanno finalità prettamente economiche, andando di fatto a minare la credibilità dell'influencer poiché il pubblico non coglie la personalizzazione dei contenuti, relativamente all'uso di un particolare bene o servizio. Su questo punto si stanno recentemente attuando pratiche legali per poter tutelare il consumatori dai messaggi pubblicitari “occulti” che i nuovi testimonial veicolano.

 


Fare marketing, però, non significa solamente basarsi sulla creazione di contenuti o sull’ingaggio di personalità di spicco sul web, ma implica anche saper analizzare i dati dal punto di vista del business.
Nella prossima puntata dedicata all’#MBSummit, ci occuperemo nel dettaglio di questo tema.
 

A cura di

Alessandra Olietti

Redattore Senior 

Project Manager Eventi

Collabora con Brandforum da gennaio 2012

Forte interesse per la scrittura sul web e sui social, nonché per il mondo del brand, in particolare per le strategie comunicative applicate al business turistico. Su questa tematica nel 2018 ha scritto un libro per FrancoAngeli - "Turismo digitale. In viaggio tra i click" - con Patrizia Musso.

Dal giugno 2015 collabora nell'organizzazione di Slow Brand Festival, un appuntamento annuale - ideato dal Direttore di Brandforum - dedicato alle riflessioni sul fenomeno Slow in Italia. 

Si è laureata con lode presso l’Università Cattolica di Milano con una tesi magistrale sulla comunicazione aziendale attraverso gli spazi, riletta alla luce delle teorie dei media digitali e del marketing esperienziale. Attualmente è Docente a contratto presso il medesimo ateneo, nonché formatore e consulente aziendale

In Università Cattolica è inoltre Career Adviser (CIMO. Comunicazione per le imprese,i media e le organizzazioni complesse) e Coordinatore dell'International Master in Cultural Diplomacy.

Oltre alle attività accademiche, si occupa di Coordinamento Media e Marketing per Alchemilla Cooperativa Sociale  in relazione al progetto "Artoo. L'arte raccontata dai bambini", una start up innovativa che propone un modo nuovo di avvicinarsi all’arte, promuovendo l'autoralità e il protagonismo culturale dei bambini anche in età prescolare.

Nel tempo libero cucina, legge e appena può scappa tra i monti.

Profilo LinkedIn

Ti potrebbe interessare anche...

Negli ultimi anni, le produzioni audiovisive e il Branded Entertainment hanno cominciato a raccontare anche i luoghi: sono molte le produzioni che si stanno avvicinando a questa pratica, promuovendo e valorizzando il territorio attraverso destination branding e place branding.
Green marketing o greenwashing? Come sviluppare efficaci strategie in ottica di sostenibilità: i casi Lush e L’Oréal.